Così Alessandro diventò il demone della battaglia

Gastone Breccia ricostruisce lo scontro di Isso in cui il macedone colse la sua più grande vittoria

Così Alessandro diventò il demone della battaglia

Uno stretto pianoro, incassato tra le montagne che cingono il golfo di Isso, dove scorre il fiume Pinaro. Lì, nel novembre del 333 a.C., le vedette macedoni scoprono l'esercito di Dario III radunato in massa, alle spalle delle truppe di Alessandro Magno che stavano avanzando verso Sochi. Dove le forze del Re dei Re erano state segnalate in precedenza. Dario, che aveva radunato le sue forze da tutto l'Impero, si è mosso con rapidità, sorprendendo il giovane condottiero. Avanzando alle sue spalle ha anche massacrato i malati e i feriti che Alessandro aveva lasciato nella città di Isso.

C'è rabbia e stupore nel campo macedone, che sino a poco prima è stato flagellato dalla pioggia. Con l'armata di Dario alle spalle, che tagliava la via del ritorno verso l'Ellade, la sconfitta poteva avere esiti disastrosi. Eppure la manovra persiana non era priva di falle. A Sochi i persiani disponevano di un campo di battaglia molto ampio, dove sfruttare a pieno la loro superiorità sui Macedoni e sui loro alleati greci. Schiacciati sulla costa, la loro superiorità di manovra e la possibilità di dar vita ad un fronte ampio per i macedoni era azzerata.

Mandata una triacontera in esplorazione, Alessandro reagì con grande velocità. Fece levare il campo ai suoi uomini, ordinando di marciare velocemente verso la piana e il fiume. Si fermò soltanto nel pieno della notte: per farli riposare in un punto della strada costiera da cui non potessero scorgere la vastità dell'accampamento nemico. Un modo di limitare la paura. All'alba li fece ripartire, ordinando che le truppe, appena possibile, si schierassero in ordine di battaglia, raggiunta la piana. La manovra fu eseguita alla perfezione consentendo ai macedoni di schierare al meglio il loro esercito composito. Era pensato per eseguire fondamentalmente una sola manovra: un feroce attacco di cavalleria sul fianco destro che avrebbe schiacciato l'esercito nemico contro le lunghissime sarisse della falange. Una manovra a incudine e martello che sfruttava le armi combinate che erano la specialità in cui nessuno era in grado di eguagliare i macedoni e i loro alleati: fanteria leggera per arrestare il nemico e provocarlo, fanteria pesante armata di spada e scudo e cavalleria pesante per travolgerlo al fianco, una falange irta di lance lunghissime per inchiodarlo frontalmente e portarlo alla distruzione finale. Se eseguita correttamente questa manovra era inarrestabile per qualsiasi forza tradizionale, soprattutto per i persiani che avevano molta fanteria armata alla leggera, a parte i mercenari greci e i cardaci (l'imitazione persiana degli opliti). A Dario a quel punto restavano solo due vantaggi. Il primo, che il fiume fosse particolarmente difficile da attraversare e fosse tra lui e i Macedoni. Il secondo, di essere riuscito a mandare in avanscoperta, sul lato più lontano dal mare della piana, delle truppe che avrebbero potuto interferire con la manovra d'attacco di Alessandro. Il secondo vantaggio venne subito eliminato da un pronto contrattacco della fanteria leggera macedone accompagnata da alcuni degli uomini scelti della cavalleria di Alessandro. A quel punto, dopo questa schermaglia che i persiani non seppero sfruttare, ebbe inizio una delle battaglie più famose della storia, quella che in pratica ha spalancato ad Alessandro le porte dell'Asia e ha decretato la nascita della civiltà ellenistica creando alcuni degli equilibri secolari tra Europa e Medioriente. Per penetrarla in profondità, capirne il senso, sia dal punto di vista strategico che politico, niente di meglio del nuovo libro di Gastone Breccia: Il demone della battaglia. Alessandro a Isso (Il Mulino, pagg. 214, euro 16).

Breccia - che è uno dei più brillanti studiosi di storia militare antica in Italia, ma ha condotto anche studi sul campo sui conflitti contemporanei - mette in luce, con magistrale chiarezza, tutte le innovazioni militari che Filippo di Macedonia riuscì a implementare nel suo esercito. Per poi trasmetterle al figlio Alessandro, che le usò con enorme genio e spregiudicatezza. Filippo dotò i macedoni di reparti altamente specializzati: una fanteria leggera i peltasti in grado di muoversi più velocemente delle tradizionali truppe oplitiche; gli Hypaspisti, una fanteria pesante d'elite attrezzata con scudo e spada per attaccare le fanterie nemiche ai fianchi; i pezeteri, i fanti che componevano la temibile falange dalle lunghe lance che inchiodava frontalmente il nemico. E infine la rivoluzionaria cavalleria pesante macedone composta dagli hetàiroi, i nobili più vicini al monarca.

A Isso Alessandro farà funzionare alla perfezione tutti questi ingranaggi bellici.

Dopo un lento dispiegamento che i persiani non intervennero a bloccare perché contavano sugli argini del fiume su cui avevano piantato anche pali acuminati, i macedoni colpiscono con violenza sul fianco dei persiani, mentre più lentamente e faticosamente la falange avanza al centro e sul lato sinistro del fronte il resto della cavalleria e delle forze macedoni si limita a contenere ogni tentativo di reazione persiana. Dove Alessandro ha lanciato il suo assalto le forze persiane vengono rapidamente annichilite. Diverso è quel che accade al centro del campo di battaglia. Dove la falange stenta a superare il centro del fiume e lo scontro si trasforma per entrambi gli schieramenti in un bagno di sangue. Ma è esattamente in quel momento che Alessandro afferra per la coda il demone della battaglia, dimostra il suo genio tattico. Non esita e lancia la sua cavalleria pesante direttamente contro il carro di Dario che troneggiava nel mezzo dello schieramento persiano. È una decisione che prende in un lampo. La cavalleria persiana comandata da Oxatre, il fratello del re, prova, disperatamente, a sbarrargli la via. Ma è una cavalleria diversa da quella macedone, fatta per attacchi veloci a colpi di giavellotto. In questa mischia compressa può solo farsi massacrare, mentre Dario si dà alla fuga, abbandonando il suo carro. Proprio l'immagine resa famosa dal mosaico della Casa del Fauno di Pompei. Tattica perfetta mista ad una volontà di rischio personale, Alessandro combatteva sempre in prima linea ed era stato sul punto di essere ucciso alla battaglia del Granico. Breccia analizza questa duplice veste di Alessandro, ovvero il condottiero accorto che convive con il fanatico del mito di Achille. E l'equilibrio si trova alla fine in quello che poteva anche essere un calcolo preciso. Per motivare i greci e i macedoni serviva un condottiero che facesse rivere il mito della guerra di Troia. Altrimenti l'impresa di attaccare l'Impero persiano non avrebbe potuto mai riuscire. E di quell'impresa la Vittoria di Isso divenne il punto di non ritorno. Dopo Isso non venne più dato a Dario alcuno spazio di trattativa.

Ma interessante è anche la tesi con cui Breccia spiega la scelta di Dario di abbandonare la posizione vantaggiosa di Sochi per correre incontro al suo avversario.

Il suo enorme esercito drenava troppe risorse e la logistica non consentiva probabilmente di farlo stanziare troppo in un posto. A quel punto spostarsi alle spalle di Alessandro diventava la sola opzione possibile. E così in un giorno solo Alessandro passò dallo spazio degli uomini allo spazio del mito. Pagandone poi anche il terribile prezzo.

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