Così il campo di Coltano si trasformò nel purgatorio di migliaia di vinti

Gianni Oliva racconta la vicenda dei prigionieri fascisti internati dopo la guerra, tra cui Ezra. E ripercorre il tragitto di oblio e omissioni che seguì

Così il campo di Coltano si trasformò nel purgatorio di migliaia di vinti

Dario Fo, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Walter Chiari. E ancora: Giorgio Albertazzi, Enrico Maria Salerno e con loro il giornalista Mauro De Mauro, l'olimpionico della marcia Pino Dordoni, lo storico Roberto Vivarelli. Sono molti i personaggi, che poi diventeranno famosi, a trovarsi - nella primavera del 1945 - laceri e confusi, tra le decine di migliaia di uomini in uniforme della Repubblica sociale italiana che alzano le mani difronte ai partigiani o alle truppe alleate. Tra di essi finisce anche il poeta americano Ezra Pound che verrà rinchiuso tre settimane in una gabbia di acciaio da 1,8 per 1,8 metri, senza servizi igienici. Sono storie di resa e sconfitta molto diverse tra loro ma il finale è spesso comune nella sua amarezza. Sono i «vinti» della guerra civile, i «ragazzi di Salò», spesso adolescenti o poco più che, dopo l'armistizio dell'8 settembre '43, hanno scelto la continuità con i valori del combattentismo. Quelli a cui il Ventennio fascista li aveva pervasivamente educati, convincendoli, in nome di un senso malinteso della patria e dell'onore, ad andare volontari per cercare la dannunziana «bella morte». Possono per certi versi ritenersi fortunati. Circa diecimila dei loro camerati sono stati travolti senza speranza nella convulsione della resa dei conti con cui si conclude la guerra civile. Loro, invece, riescono a sopravvivere e poi a iniziare una nuova vita, in alcuni casi di grande successo. Ma per farlo passano per un'esperienza di grande durezza e che li costringerà per tutta la vita in uno strano limbo. Molti di essi verranno rinchiusi nel campo di Coltano, costruito nelle assolate campagne pisane, dove resteranno sino alla fine del 1945 in attesa che vengano verificate eventuali responsabilità criminali contro le forze partigiane o i civili. Non è un lager certamente ma le condizioni della detenzione sono durissime, a partire dall'assoluta mancanza di ombra e dalle condizioni igieniche pessime. Ma anche con la libertà gli ex militi di Salò si sentiranno a costretti a nascondere il loro passato, a non far menzione apertamente della loro scelta di campo.

Questa vicenda e quella dei prigionieri degli altri campi in cui vennero internati i combattenti e i simpatizzanti della Repubblica sociale è ora raccontata in modo molto asciutto e con ampio utilizzo di fonti storiche da Gianni Oliva in Il purgatorio dei vinti. La storia dei prigionieri fascisti nel campo di Coltano (Mondadori, pagg. 206, euro 21).

Oliva, storico delle istituzioni militari, affronta la questione in una duplice ottica. Da un lato porta avanti una narrazione precisa e puntuale di come è stata creata la rete dei campi di internamento, del loro funzionamento e delle logiche che li regolavano. Perché al di là di Coltano, che era il più noto, esistevano molti altri spazi di detenzione più o meno organizzati, su cui la storiografia si è soffermata molto meno. Dall'altro lato dà largo spazio alle testimonianze e alle vicende di prigionieri famosi per raccontare il senso di vergogna che per decenni ha accompagnato chi nei campi è stato rinchiuso. Ed è questo forse il versante più interessante del lavoro. L'analisi della lunga rimozione della memoria della prigionia.

Ovviamente, sia chiaro, Oliva non ha alcuna simpatia o rimpianto per il regime fascista, ma è attento a ricostruire il percorso psicologico di una generazione che vide schiantare con l'Rsi anche i suoi valori e la sua educazione. E che per certi versi pagò anche per le responsabilità di chi era fascista sino a poco prima e fu solo più veloce a cambiare casacca.

In questo Oliva si fa guidare dal Sentiero dei nidi di ragno di un antifascista insospettabile come Italo Calvino, partigiano garibaldino: «Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto». E allora dove sta la differenza tra il partigiano e il milite di Salò rinchiuso a Coltano? È ancora Calvino a rispondere: la differenza è la Storia. E allora la Storia, come fa Oliva, va raccontata tutta.

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