«Così feci fuggire gli assassini di Primavalle»

I Mattei: «Se ora vuole aprire i suoi archivi è la volta buona»

Luca Telese

da Roma

Ormai, ogni volta che riappare sulla scena sembra di sentire odore di zolfo: Achille Lollo è diventato suo malgrado un piccolo demonio mediatico, un parafulmini destinato a far capolino sui media di tanto in tanto, sempre all’insegna del colpo di scena e della polemica, il simbolo di una ferita aperta e di una memoria divisa e non pacificata.
Un percorso curioso il suo, dopo essere stato il primo indiziato per il delitto più atroce degli anni di piombo, dopo essere diventato il simbolo vivente di una infinita (e dramaticamente sbagliata) campagna innocentista della sinistra extraparlamentare: prima trent’anni di latitanza in Brasile e un lungo silenzio interrotto solo da proclami di estraneità ai fatti per sottrarsi al sospetto di essere uno dei tre autori del Rogo di Primavalle. Poi un intero anno di protagonismo negativo, iniziato il 10 febbraio del 2004 con un’intervista-choc al Corriere della Sera, quella in cui ammetteva parte delle proprie responsabilità (la presenza sul pianerottolo di casa Mattei, quella notte, l’innesco della bomba, il legame con i complici). E quindi il paradosso giuridico che si è determinato dopo queste rivelazioni: né lui né i due che vennero giudicati con lui sono oggi processabili, mentre è per tre complici minori chiamati in causa dalle sue accuse (Paolo Gaeta, Diana Perrone ed Elisabetta Lecco) che si sono riaperte le indagini.
Ieri l’ennesimo capitolo si apre con la notizia diffusa dalle autorità brasiliane che hanno concesso il nulla osta alle rogatorie internazionali e l’inevitabile, relativo strascico polemico. Il fatto è che Lollo ormai sembra un personaggio dostoevskiano, prigioniero della sua maschera tragica, la prima vittima del suo ruolo di «cattivo»: ambiguo, contraddittorio, non lineare. Non era solo il 16 aprile del 1973, quando bruciò la casa di Stefano e di Virgilio Mattei. Ma i suoi due complici di allora, Manlio Grillo e Marino Clavo, sono riusciti a dileguarsi nelle nebbie dell’amnesia, dimenticati (e quindi «liberi») mentre lui continua a dibattersi nelle proprie contraddizioni di sopravvissuto: prescritto, certo, ma inchiodato alla croce di un delitto orribile. Ieri, dopo il sì del tribunale di Giustizia di Brasilia (un gesto a cui non è estranea la visita del ministro degli Esteri Gianfranco Fini, il 5 luglio scorso in Brasile) è successo di tutto: prima la soddisfazione della famgilia Mattei, il «non ci posso credere, sono emozionato», del fratello più piccolo, Giampaolo (il portavoce della famiglia). Poi un cortocircuito di notizie contrastanti. La prima? Quella che Lollo, dopo essersi dichiarato pronto a rispondere nelle interviste prima dell’estate adesso corregge il tiro: «Non parlo - ha detto all’Ansa prendendo tempo - perché attendo di discutere con il mio avvocato. La mia intenzione è non rispondere alle domande dei magistrati per il reato di strage». Una scelta strana, la sua, anche perché non contemplata dal codice penale: solo il tempo dirà quanto sia sostenibile. Ma ovviamente bastavano queste frasi per tarpare le ali al coro di entusiasmi aperto dalla notizia della rogatoria: dalla coordinatrice di Azione Giovani Giorgia Meloni («È un primo passo verso la verità») al sindaco di Roma Walter Veltroni («Spero che l’interrogatorio di Achille Lollo contribuisca a fare finalmente completa luce su un atroce delitto»): fin dal pomegriggio di ieri ogni ottimismo sembrava improvvisamente invecchiato dall’ennesimo voltafaccia di Lollo.
Anche perché il problema dell’ex militante di Potere Operaio non è la propria libertà: il governo brasiliano negò già una volta la richiesta di estradizione, nel 1993. E sulla sua fedina penale è ormai passata la spugna della prescrizione (che forse è stata la vera molla che ha spinto Lollo alla sua mezza confessione). Maurizio Gasparri si augura «che si possa giungere presto alla verità» mentre Giampaolo Mattei spiega: «Lollo ha sempre detto che vuole aprire i suoi archivi, forse questa è la volta buona». Il più giovane esponente della famiglia, è un osso duro, pochi mesi fa ha dato vita ad una associazione che si batte per la verità di quegli anni.

Ma il vero problema, ieri, non erano né i tribunali, né le vittime, né gli avvocati, né le dichiarazioni dei politici. Il vero nodo di questa storia resta la coscienza di Lollo, la sua difficoltà a fare i conti con la verità. Anche la memoria sospesa di un decennio deve fare i conti con il rovello di un’anima contorta.

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