«Così ho salvato 250mila posti di lavoro»

Lynn Tilton ha due occhi neri, profondi, svelti che non smettono mai di inquadrarti. E 75 aziende sparse per il mondo, acquistate un istante prima del loro fallimento. Ha tante altre cose. È ovvio. Come per esempio una splendida casa sul lago di Como senza ancora alcun arredo. Ma l’essenza di una donna che passa il «70 per cento del suo tempo viaggiando da un’azienda all’altra», mangia come un canarino, dorme poche ore a notte, e indossa diamanti che valgono più di una piccola impresa di Bergamo è tutta in questo impasto di curiosità e forza. «Sono diretta, veloce e potente», dice di se stessa Lynn. Ma forse il termine inglese «powerful» che Lynn usa per descriversi è qualcosa di più del letterario potente: forte, poderosa. È in Italia grazie ad una furibonda lite. Quella che si consuma a Pittsburgh cinque anni fa con Claudio Gemme, all’epoca amministratore dell’Ansaldo Sistemi industriali. La società era indirettamente finita in Chapter 11 (la procedura fallimentare americana) e Gemme la difendeva con le unghie da una svendita. Per farla breve la conversazione tra Lynn e Gemme finisce con la cravatta di Gemme tirata e la minaccia: «Io vi distruggo». Dopo cinque anni all’incontro con Lynn, Gemme è allo stesso tavolo da pranzo e ancora amministratore delegato. Non è stato distrutto. E Ansaldo sistemi, unico investimento in Europa del fondo di private equity Patriarch, guidato da Lynn, «mi dà grandi soddisfazioni. La sua squadra si butterebbe sul fuoco per l’azienda. È quello che voglio quando investo i miei quattrini in una società».
Il fondo della signora si occupa di società in difficoltà, ad un passo del fallimento. Ne ha comprate 75 per la bellezza di sei miliardi. Chi ha creduto in Lynn ha fatto un sacco di soldi. Il suo ultimo fondo, partito ad aprile del 2007, ha reso in due anni il 40 per cento. Negli ultimi sei mesi ha continuato a comprare una decina di aziende «sottovalutate» per circa 500 milioni di dollari.
La incontriamo a Milano, alla vigilia dell’assemblea di Ansaldo, e di ritorno da un incontro a Montecarlo per raccogliere nuovi fondi. Come è andata? «Una brutta aria» dice con il sorriso sulle labbra. Nervosa? «Io non sono mai nervosa, semmai posso essere preoccupata». Cosa vuole mangiare? «Claudio - riferendosi all’ad di Ansaldo - decidi tu. Mi fido». Non mollando mai lo sguardo e la tensione. Ha una bellissima collana, piuttosto vistosa: diamanti. Cosa preferisce comprare, una società o un collier? «Dipende dalla società». Ma il ghiaccio è rotto. Il suo blog si chiama Dust to diamond: dalla polvere ai diamanti. Chiaro il messaggio. E così si parte.
«Compro società quando nessuno le vuole comprare. Poi ricostruisco il management, le strategia e la finanza. Sono una donna educata, but very powerful. Oggi cerco tre caratteristiche fondamentali: un bel marchio, ottimi prodotti e persone di talento. La terza condizione è la più difficile». Di marchi e talenti qua in Italia ce ne sono a bizzeffe. «È vero. In Italia ho provato a comprare La Perla, ma mi è sfuggita. Sono convinta che le società che vendono prodotti di consumo oggi, per la crisi in corso, siano sottovalutate almeno del 20-30 per cento. È un ottimo momento per comprare. Ma l’Italia e l’Europa sono troppo lente. Io vado veloce: compro un’azienda in trenta giorni al massimo».
Una donna «educata» certo. Ma che non guarda in faccia a nessuno. «Uno dei problemi nel comprare aziende europee è che da voi è molto più difficile licenziare il personale in esubero. Inoltre le regole fallimentari americane prevedono la possibilità di comprare solo gli attivi di una società lasciando i debiti alla procedura fallimentare». Due affermazioni che da noi fanno tremare i polsi. «Ma guardi che ogni mattina io mi sveglio felice per avere mantenuto il posto di lavoro a centomila persone. Tanti sono i dipendenti che lavorano per le società che ho comprato dai fallimenti e che senza il mio intervento sarebbero saltate del tutto. Licenziare per mantenere comunque un buon numero di posti di lavoro è sano, virtuoso. Negli ultimi dieci anni ho salvato tra aziende che ho comprato e poi rivenduto 250mila posti di lavoro. E già che c’ero ho ridato indietro agli investitori che hanno creduto nella mia attività 3 miliardi di dollari». E come la mettiamo con i debiti, che lei non si accolla mai. «Ma intanto questo non è sempre vero al 100 per cento. E comunque io cerco di preservare il patrimonio di un’azienda, di rimetterla in sesto. Non posso pagare io per gli errori fatti da altri. In Europa, dove ciò non è permesso, gente come me non può entrare. Le società vanno in insolvenza e muiono. E in alcuni casi le salva lo Stato e cioè i contribuenti. È un sistema sbagliato». Non ci venga a dire che ciò è molto diverso da quanto sta facendo la presidenza Obama: auto e banche sono state letteralmente salvate dal tesoro, con un deficit che è diventato pari alla ricchezza che produce l’Italia in un anno. «E chi ha mai detto che sia d’accordo con la politica economica che oggi sta conducendo Obama? Sono in disaccordo con le sue recenti mosse. Ritengo che le intenzioni del presidente siano pure e oneste, così come credo che la gente senta oggi il bisogno di un leader. Ma non si rende conto che l’America è fatta per l’80 per cento da aziende con meno di 500 addetti. Tant’è che quel poco di ripresa che si vede, c’è solo a Wall Street e per la banche appunto». Sì ma si dice che salvare le banche vuol dire salvare il sistema. O se preferisce quando muoiono le banche, muore l’economia. «Sono più preoccupata dal livello che raggiungerà la disoccupazione e dal livello dei pignoramenti immobiliari. È dall’ottobre del 2006 che pronostico un rischio mortale per la nostra economia fatta solo di finanza. E riguardo al salvataggio dei “too big to fail” si tratta di un mito. Le grandi imprese hanno strozzato i fornitori. E le banche non stanno fornendo credito sufficiente alle imprese». Sull’operazione di salvataggio della Chrysler da parte della Fiat il giudizio invece è positivo: «Gli italiani sono molto forti sul design e anche sulla tecnologia». Infine un pronostico sulla crisi e sul dollaro. «Quella dell’economia reale durerà ancora per un paio di anni. E non è un bene che il dollaro sia debole. La sua debolezza fa aumentare il prezzo delle materie prime. Noi americani siamo più consumatori che esportatori».

È l’una di notte. Lynn ritorna in camera a lavorare. E a preparare l’assemblea di Ansaldo. Doveva distruggere il suo management. Ma da oggi è ufficiale non solo i suoi manager verranno confermati, ma hanno una quota della società.

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