Così Israele cambia senza Sharon

È trascorso un anno dalla scomparsa dalla scena politica di Ariel Sharon, ancora vivo ma relegato, privo di coscienza, in un letto d'ospedale. L’ictus lo ha neutralizzato il 4 gennaio scorso

È trascorso un anno dalla scomparsa dalla scena politica di Ariel Sharon, ancora vivo ma relegato, privo di coscienza, in un letto d'ospedale. L’ictus che lo ha neutralizzato il 4 gennaio scorso ha colpito, per molti israeliani, il fisico del Paese non meno di quello dell'unico leader che avesse la forza, l'autorevolezza e il cinismo necessari per far uscire Israele dal pantano del conflitto palestinese.
Il vuoto e la mancanza di prestigio, di fermezza dei politici che lo hanno rimpiazzato sono emersi pienamente con l’operazione militare condotta in Libano contro gli hezbollah. Il premier Ehud Olmert, il suo ministro della Difesa, Amir Peretz, e molti generali, a cominciare dal capo di stato maggiore, si sono dimostrati ben al di sotto delle loro responsabilità e, soprattutto, delle loro altezzose pretese strategiche. Il che ha fatto gridare con tipica esagerazione medio-orientale al disastro israeliano e al trionfo degli hezbollah, con il loro capo, Sayyed Hassan Nasrallah, trasformato in novello Saladino. Si aggiunga l'ipocrita delusione dei governanti arabi cosiddetti moderati, che speravano - con gli Stati Uniti - in una sconfitta militare del fronte islamico radicale sostenuto dalla Siria e dall'Iran.
I 32 libanesi caduti sotto le bombe israeliane a Beit Hanun sono diventati simboli di una realtà stravolta e hanno finito per contare di più - agli occhi di una certa opinione pubblica - dei 250mila sudanesi uccisi nel Darfur dal regime di Khartum.
A cinque mesi dall’attacco agli estremisti di Nasrallah, Olmert si ritrova privo di prestigio tra i suoi concittadini, ma in Parlamento è sostenuto dalla coalizione governativa con più compattezza di quanta ce ne fosse prima dell’attacco a Hezbollah. Portato al governo con un programma elettorale che faceva della decolonizzazione dei Territori e del riequilibrio sociale interno i suoi obiettivi strategici, Olmert ha superato lo shock di una guerra da lui mal impostata e mal guidata tornando al programma governativo originale che continua ad avere il consenso della maggioranza della popolazione.
Investito dalle invettive della destra divisa e del movimento dei coloni (ai quali Sharon aveva inflitto un durissimo colpo con l'evacuazione dalla Striscia di Gaza), Olmert ha ripreso timidamente a trattare col presidente palestinese Abu Mazen, denunciato nel frattempo come «traditore» dal governo di Hamas, da Al Qaida e dall'Iran.
I generali, sotto inchiesta per la deludente prestazione libanese, stanno analizzando e correggendo i loro errori dovuti essenzialmente al fatto che le Forze armate abbiano perduto la loro grinta combattendo per anni con nemici più deboli. Gli hezbollah, che invece sono incapaci di risollevarsi dalle perdite loro inflitte da Israele, debbono ora fare i conti con un’opinione interna che addossa loro la responsabilità di aver provocato la reazione israeliana alle loro provocazioni e che oggi pesa enormemente sulle casse del Paese.
Ci sarà certo in Israele un cambio di dirigenza attraverso nuove elezioni. Nel frattempo c'è chi sta convincendosi dell'attualità dei discorsi profetici di Mosè che fa appello alle maledizioni per riportare il popolo sulla strada delle benedizioni. Il primo appello è quello dell’umiltà di cui la dirigenza di Israele aveva gran bisogno nella condotta dei suoi rapporti interni ed esteri. Il secondo appello è l’invito di attrezzare il valore dei «doni celesti» anche quando non sembrano benedizioni. Il caso degli attacchi provocatori degli hezbollah lo dimostra. Sono serviti a scoprire preventivamente il piano di attacco missilistico a sorpresa messo a punto con l'Iran. Il terzo appello è la cautela nella scelta delle alleanze. Quella con Washington sta infatti diventando per Israele sempre più pesante, soprattutto da quando appare chiaro che l'Irak si sta trasformando nel cimitero delle ambizioni imperiali americane.
Israele non romperà certo con gli Usa, ma il baricentro dei suoi interessi si sposta rapidamente dall'Atlantico all'Europa e dal Medio all'Estremo Oriente. È proprio grazie alla Cina, al Vietnam, alla Corea, per non parlare dell'India, che nonostante una guerra considerata da molti perduta, Israele si sta risvegliando politicamente ed economicamente dal torpore del suo caduco colonialismo. Lo prova il fatto che, per la prima volta nella sua storia, le esportazioni israeliane hanno superato le importazioni; che l'economia cresce al ritmo di quasi il 5 per cento con inflazione a zero; che la spesa per i servizi pubblici è scesa dall'82 per cento al 47; che gli investimenti esteri - prova della fiducia internazionale - hanno superato nel 2006 i 19 miliardi di euro.


Forse è anche a causa delle minacce iraniane che i rapporti con Egitto, Giordania, Turchia e perfino Arabia Saudita si sono intensificati. La scomparsa di Sharon non si rivela irreparabile anche perché sono solo i cimiteri ad essere sempre pieni di personaggi indispensabili.

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