Così l'Albania è diventata la Colombia d'Europa

Boom di piantagioni, il mercato della cannabis vale 2 miliardi l'anno. E invade il continente

Giovanni Masini

da Tirana

Quando deve vantare i successi del proprio governo, il premier albanese Edi Rama ripete spesso che negli ultimi 12 mesi la quantità di cannabis confiscata dalla polizia è triplicata. Ricordando questo dato, però, Rama ne dimentica un altro: l'aumento dei sequestri è direttamente proporzionale alla crescita delle piantagioni in tutto il Paese.

In vista delle elezioni politiche del 18 giugno il governo di Tirana si trova a giocare una partita complicata. Da un lato deve rassicurare i partner internazionali sulla serietà della propria lotta alla criminalità organizzata. Dall'altro è consapevole che l'indotto derivante dalla produzione e dal commercio della cannabis rappresenta, secondo i dati dell'Osce, poco meno di un quinto del Pil del Paese. Un giro d'affari di oltre due miliardi di euro all'anno.

Il rapporto Europol 2017 sulla criminalità organizzata in Europa conferma come la terra delle Aquile rappresenti ormai il principale hub di produzione e di spaccio di questa droga in Europa.

La storia della marijuana in Albania ha radici profonde. Dopo la rottura con l'Urss e poi con la Cina, negli anni Settanta il Paese si ritrovò isolato e in balìa di un dittatore, Enver Hoxha, deciso a lottare contro il mondo pur di difendere l'ortodossia marxista. Senza più fonti di sostentamento dalle potenze comuniste, la creazione di vaste piantagioni statali rappresentava una fonte sicura di guadagno e contribuì alla diffusione del consumo di marijuana anche fra le classi popolari. A Tirana c'è ancora chi ricorda come i semi venissero utilizzati dai contadini per addormentare i bambini più irrequieti.

Le coltivazioni sopravvissero al crollo del regime e anzi la crisi degli anni Novanta alimentò il commercio clandestino, favorendo l'espansione dei traffici gestiti dalla criminalità organizzata. Nella parte meridionale del Paese sorsero zone franche dove la polizia non osava entrare e la cannabis divenne l'unica fonte di sostentamento per gli abitanti delle zone montane più povere.

Una delle piazze più famose nacque nel villaggio di Lazarat, presto noto a livello europeo come la capitale europea della marijuana. Nel 2013 il premier Rama, allora appena eletto, lo fece bonificare con un blitz spettacolare in stile militare: doveva essere il manifesto di una legislatura all'insegna della lotta al traffico.

L'effetto sortito da quell'incursione, però, fu opposto a quello desiderato: negli ultimi quattro anni le piantagioni si sono espanse anche al di fuori delle zone franche di un tempo, estendendosi anche al nord del Paese. L'introduzione di una nuova varietà vietnamita della pianta, che fruttifica molto più in fretta di quella indigena, ha contribuito ad aumentare ulteriormente la produttività dei campi albanesi.

l guadagno è enorme: secondo i calcoli della Bbc una volta passato l'Adriatico a bordo dei gommoni o nascosta nei Tir imbarcati sui traghetti, la merce viene rivenduta un prezzo sette volte superiore al costo di produzione.

Nonostante il lancio di scenografiche operazioni di polizia in collaborazione anche con le forze dell'ordine italiane, i sequestri di cannabis non conoscono sosta. Il 5 febbraio scorso la polizia italiana ha fermato ad Ancona un camion con otto tonnellate di droga proveniente da Durazzo; il 24 marzo la Guardia di finanza ha intercettato un'imbarcazione con altre due tonnellate al largo della costa brindisina. Durante i primi 12 giorni di aprile, in Albania sono state sequestrate oltre 17 tonnellate di sostanza: quasi una tonnellata e mezzo al giorno.

Queste operazioni, però, curano gli effetti e non la causa del fenomeno: il commercio di cannabis andrebbe infatti contrastato distruggendo le piante quando sono ancora giovani, così da impedirne il ciclo colturale. Ma l'ostacolo maggiore è un altro: la corruzione. Secondo il giornalista d'inchiesta albanese Lavdrim Lita i funzionari locali di polizia spesso e volentieri chiudono un occhio durante i controlli: in cambio di una tangente del 20%, le retate si limitano alle piantagioni più piccole, appositamente isolate dalle coltivazioni più estese, che invece non vengono toccate. Così le statistiche del governo riportano un aumento della droga sequestrata e la produzione non si ferma.

Le cronache locali raccontano di poliziotti corrotti e cannabis che viene fatta passare sotto il naso dei funzionari di frontiera. Lo scorso 16 aprile la procura per i crimini gravi ha arrestato 18 impiegati alle dogane di Tirana, Qafe Thane e al porto di Durazzo: tutti sono accusati di aver permesso il transito di dieci tonnellate di droga imbarcate per l'Italia.

Al di là dei singoli episodi, però, il dato è un altro: la produzione e l'esportazione della marijuana è ormai l'unico strumento di sopravvivenza per tanti piccoli coltivatori che si prestano ai loschi traffici dei tanti boss locali.

Piccoli oligarchi che grazie a nuove tecniche di coltivazione e a controlli fasulli riescono ad arricchirsi ogni giorni di più.

Tanto da poter influenzare questo è il timore delle associazioni anticorruzione anche le lobby politiche che decideranno le prossime elezioni.

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