Così il novembre 1942 fu la svolta della Guerra

Peter Englund racconta, con gli occhi di chi c'era, il mese che cambiò la storia del mondo

Così il novembre 1942 fu la svolta della Guerra

Un punto di svolta, un tornate improvviso e violento dove tutto cambia, lasciando i testimoni quasi annichiliti di fronte all'imprevista modifica di un paradigma che sembrava inciso nell'acciaio, nel solco dei cingoli dei carri armati vincitori. Capita di rado che la Storia, quella con la «S» maiuscola, si presti a questi improvvisi turning point. Eppure accade: i persiani a Salamina nel 480 a.C., la disfatta dei turchi a Vienna nel 1683... E accade in maniera esponenziale, su diversi fronti, nel novembre 1942. La Seconda guerra mondiale assume per l'Asse un andamento totalmente inaspettato per i contemporanei, compie una violenta inversione a «U» verso il disastro.

Non a caso il monumentale libro di Peter Englund si intitola proprio La svolta. Novembre 1942. I giorni che cambiarono il destino del mondo (Marsilio, pagg. 614, euro 24) e raccoglie le stupite testimonianze di molti di coloro che assistettero al grande cambiamento. L'ex segretario dell'Accademia di Svezia è uno storico che ha abituato i suoi lettori ad approcci non convenzionali agli eventi del passato, ma sempre ficcanti. In questo caso, con uno sforzo documentario eccezionale, intreccia le vicende di moltissimi individui, noti e meno noti, per tracciare, dall'interno, la parabola di un mese che improvvisamente vide l'espansione dell'Asse, che a quasi tutti sembrava inarrestabile, volgersi rapidamente verso una sconfitta, magari non immediata ma inevitabile.

Per dare l'idea della varietà delle dramatis personae che compaiono in questo saggio/racconto corale (e quasi romanzo): lo scrittore Albert Camus, il maggiore dei paracadutisti italiani Paolo Caccia Dominioni, la pacifista britannica Vera Brittain, il mitragliere sui bombardieri Lancaster John Bushby, lo scrittore sovietico Vasilij Grossman, il comandante di cacciatorpediniere giapponese Tameichi Hara, lo scrittore e ufficiale tedesco Ernst Jünger e Leonard Thomas, macchinista su una nave in un convoglio artico... E potremmo continuare con altre decine di nomi di persone che, grazie ai loro scritti e ai loro diari, letterari o meno, noti o meno, consentono di vedere tutte le sfaccettature del cambiamento che all'improvviso, come ghiaccio che si sfaldi di colpo sulla superficie di un lago alpino, trasforma la guerra. Per usare le parole di Englund, questo libro molto sperimentale «scaturisce dalla convinzione che la complessità degli eventi emerge al meglio proprio a livello individuale». Ecco che allora tutte queste testimonianze si saldano come le tessere di un mosaico, ovviamente un mosaico dell'Apocalisse o di quanto di più simile all'apocalisse l'essere umano abbia mai sperimentato.

Prendiamo il fronte africano. La battaglia di El Alamein è stata raccontata tante volte... Ma vederla narrata con la prospettiva che risulta guardando fuori dagli iposcopi del carro armato dal tenente Keith Douglas è un'altra cosa. Campi minati ovunque, temibili soprattutto quelli degli italiani, agguati con i cannoni tedeschi da 88. I corpi dei camerati contorti e bruciati che affiorano da rottami di metalli annerito. Poi di colpo il fronte cede. Vista da chi è in prima linea la vittoria è sorprendente, del tutto inattesa. Inizia la grande corsa, l'inseguimento alle forze dell'Asse in fuga... Ma mentre gli inglesi raccattano qualsiasi cosa di valore lasciata indietro da italiani e tedeschi, c'è più stupore che altro.

E sull'altro versante? Englund vi farà vedere la disfatta con gli occhi dell'autista di automezzi militari Vittorio Vallicella. Ci sono sette uomini che nel deserto devono decidere che cosa fare, se arrendersi o tentare la sorte per tornare in patria attraverso il deserto. Non farete in tempo a esservi adattati alla opprimente sensazione di trovarsi in un autocarro rovente nel deserto, però, che Englund vi sposterà a Leningrado, in compagnia di Lidija Ginzburg, docente universitaria che è sopravvissuta al primo inverno di assedio e adesso ne vede arrivare un secondo. Eppure in città, nonostante l'enorme strage qualcosa è cambiato, c'è la sensazione di potercela fare e che le cose andranno d'ora in poi diversamente. Così come sarà possibile passeggiare per le vie di Parigi con il coltissimo Ernst Jünger che medita su quanto sia diversa la Seconda guerra mondiale dalla prima e inizia a presentire il disastro. Quando invece seguirete Vasilij Grossman a Stalingrado vedrete scattare il 19 novembre l'operazione Urano che porta al crollo del fronte e alla grande sacca dove la 6ª Armata della Wehrmacht viene bloccata verso un destino di sconfitta certa.

Ma le notazioni più sottili del grande mutamento potrebbero venirvi dai testimoni più umili, più impensati. Il mitragliere John Bushby, dell'ottantatreesimo squadrone del comando bombardieri della Raf, è sempre pieno di terrore mentre vola sul suo Lancaster. La domanda che di continuo si pone è: perché io sono ancora vivo? Eppure quando guarda le città tedesche sotto di lui si accorge che gli incendi sono sempre più grandi, la difesa sempre più fragile. La massa dei bombardieri alleati sta iniziando ad avere il sopravvento. E la guerra anche per gli alleati diventa di necessità un massacro di civili innocenti. Intanto le truppe americane sono già sbarcate in Marocco e la Francia di Vichy scopre quanto possa essere duro il tallone dell'occupante tedesco.

Davvero un arazzo incredibile, quello intessuto dai molti testimoni di cui Englund sfrutta le voci. Si vede in filigrana come venne costruito un gigantesco mosaico fatto di milioni di tasselli di sangue e ossa. E all'improvviso in quel mosaico iniziò a delinearsi un mondo diverso che riuscì a fermare l'avanzata delle dittature, sebbene a un prezzo altissimo.

E chi riuscì in questa impresa che con il senno di poi ci può sembrare come scritta nel destino, lo fece aggrappandosi con le unghie e con i denti a ogni flebile speranza. Senza sapere sino all'ultimo se ce l'avrebbe fatta.

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