Così il "pacificatore" Ferrara è stato travolto dai duellanti

Tessi e tela, cuci e stringi, come un sarto che cerca di ridare forma a un vestito sbrindellato. Qualche tempo fa passava ancora i giorni al bar Friends di piazza Trilussa, a sorridere delle sue passioni, cercando un disincanto che non gli appartiene. Poi tutto si è fatto complicato, rigido, ombelicale, fino a sprofondare in una trama di Ionesco. I due parlavano e non comunicavano. Si vedevano e non avevano nulla da dirsi. Si guardavano mettendo a fuoco solo tic, difetti, nevrosi, fastidi. Capita. Giuliano Ferrara ci ha provato a tradurre le parole. Era una missione. Finalmente questa politica che lo stava tediando, così ottusa, ripetitiva, con pentiti balbettanti e derive di deboscio gli stava regalando un ruolo. Quasi a sentirsi quindici anni più giovane, come nel ’94, quando disse a Berlusconi di triangolare a Nord e Sud. Qui ti allei con Fini, con quella dichiarazione di voto contro Rutelli lo hai sdoganato, lì, nella Cisalpina, scommetti su Bossi. Ecco. Questa è l’adrenalina, il consigliere. Stare lì a smussare, scaccheggiare, prevedere e riparare, andare sempre quattro mosse avanti, pensare il possibile, arginare l’imponderabile, non sottovalutare l’impossibile. Solo che questa partita Giuliano l’ha giocata su due tavoli, non da mestatore o da intramero, non da doppiogiochista, ma per costruire il pareggio, ingabbiare il non errore, dicendo all’uno e all’altro quale pedina muovere per non subire lo scacco matto, per risolvere senza sacrificare l’altro il dilemma del prigioniero, perché la partita perfetta è quella dove non si vince e non si perde. È per questo che l’elefantino si è inventato colomba. Non ce l’ha fatta. La logica aiuta se i due protagonisti imparano a fidarsi. Berlusconi e Fini non lo fanno più da troppo tempo. Non ci può essere pareggio con il timore del colpo alla schiena. Questo in fondo Giuliano lo sapeva. Ha provato a costruire intorno alla partita un clima, un patto, un non facciamoci del male. Troppo tardi.
Le ultime mosse scandite da un metronomo. La conferenza stampa di Denis Verdini, la difesa del garantismo, la pazienza che salta davanti al «tribunale del popolo», lo scazzo con Claudia Fusani, «sta dicendo una montagna di cazzate, apra un conto corrente in una banca prima di dire tutte queste cazzate», la spola tra il Foglio e Palazzo Grazioli, qualche telefonata alla Perina al Secolo, il ruolo discreto di «antigiornale», le parole a Fini, quelle a Berlusconi e poi l’intervista disperata, conciliante, Gianfranco che non ci crede ma lascia fare, comunque vada è un modo pure questo per girare a Silvio la responsabilità politica e morale dello scisma. E lui, Berlusconi, che non ci casca. Neppure a tarda sera quando Ferrara e le ultime colombe, con calma, cercano di convincerlo a dare un’altra possibilità. «Quanto costa presidente tutto questo? Quanto costa?». Tardi, troppo tardi. Costa di meno di uno stillicidio.
L’intervista sta lì, bella, su due colonne e il titolo in rosso. Quasi tutti sono convinti che sia un: mi domando e mi rispondo. Qualcuno giura che Fini si sia limitato a leggerla e a dire: va bene, stampala pure. Il testo passato alle agenzie verso le nove. Berlusconi che già aveva firmato l’atto di accusa che questa mattina andrà in pubblico. Il non si torna indietro. Troppo tardi. Gli eserciti si erano già armati. L’elefantino si è illuso di poter disinnescare, come fece il ragazzino di WarGames negli anni ’80, la lucida strategia del computer di nome Joshua: vuoi giocare una nuova partita? Lì Matthew Broderick trovò a un passo dalla guerra fredda la soluzione. Far giocare a Joshua una partita contro se stesso. «Primo attacco Usa», «Primo attacco Urss». Pari e pari, pari e pari. Risultato finale: «Vincitore nessuno». Morale: in certe situazioni l’unica mossa vincente è non giocare. Ci aveva sperato Ferrara. Niet.
L’intervista apocrifa forse serviva proprio a questo. Far giocare il computer contro se stesso. Solo che in questo caso l’elefantino ha sottovalutato il bluff. Nessuno qui sta giocando in modo inconsapevole. La guerra la volevano tutti. Italo Bocchino, dando un indizio importante su chi ha fatto domande e risposte dell’intervista, dice: «Si vede che Ferrara ha diffuso la parte più conciliante». E qui si capisce che il mediatore era l’unico in buona fede. Lo dicono la prosa e le parole. Quel «resettare tutto, senza risentimenti» è ferrariano fino al midollo. Ne sorride anche Berlusconi, che lo confessava già mercoledì sera.

Le macerie, i tempi turbolenti e gravidi non sembrano lessico finiano. Ma questa volta Cyrano ha perso. Cristiano non è mai stato innamorato di Roxanne e al guascone spadaccino non resta che citare Mercuzio: maledette le vostre due famiglie.

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