In ogni possibile occasione Giorgio Napolitano incita maggioranza e opposizione a stringersi concordemente in maniera bipartisan intorno alla grande riforma. Il capo dello Stato conosce quanto sia difficile sciogliere il nodo dell'ammodernamento costituzionale che è rimasto irrisolto da oltre un quarto di secolo, nonostante le proposte avanzate, le tante commissioni parlamentari andate a vuoto, e i numerosi tentativi falliti.
Eppure la questione costituzionale resta centrale. Perché non è soltanto la spinta della Lega per il federalismo ad essere attuale, quanto la necessità largamente avvertita di rafforzare i poteri del premier e quelli di controllo del Parlamento, di sancire formalmente l'investitura diretta del capo dell'esecutivo, e dare una forma istituzionale alla democrazia dell'alternanza che privi i micropartiti del potere di ricatto. In sostanza è l'intero ordinamento che dopo sessant'anni va adeguato a una realtà politica che ha già scontato profonde trasformazioni quali il bipartitismo e la sanzione popolare della premiership.
Tra i percorsi per giungere a un risultato, è stato proposto la convocazione di una Assemblea costituente, distinta e separata dagli organismi parlamentari. È stato Emanuele Macaluso, l'antico e autorevole esponente comunista da tempo approdato alla sponda democratico-liberale e socialista garantista, che ha suggerito, sul modello della Costituente del 1946-48 di fare eleggere direttamente dal popolo sovrano con la proporzionale un'assemblea di 75 persone con il compito esclusivo di redigere la nuova costituzione, indipendentemente dal Parlamento.
L'idea non è nuova. Anche chi scrive la patrocinò durante la crisi della prima Repubblica quando appunto i pezzi del vecchio sistema politico erano andati all'aria e si poteva ripartire quasi da zero. Del resto il rapporto tra sovranità popolare, momento costituente e carta fondamentale è strettissimo nei moderni Stati costituzionali. Ma oggi, nel quadro della situazione data, a me pare che si tratti di un'idea astratta, macchinosa e sostanzialmente impraticabile.
Innanzitutto i tempi per legiferare, convocare l'Assemblea e far lavorare una tale organismo sarebbero non compatibili con l'urgenza del problema. In secondo luogo la duplicazione dei poteri tra Parlamento e Assemblea costituente implicherebbe una serie di questioni costituzionali che aprirebbero un labirinto di conflitti senza uscita. In terzo luogo l'elezione con il metodo proporzionale di una specie di assemblea di 75 saggi rimetterebbe in gioco una miriade di piccole formazioni a null'altro interessate che ad esercitare un piccolo potere come nel Parlamento del passato. Insomma, l'ottima idea teorica è una pessima proposta nell'attuale contesto con le urgenze che il paese deve affrontare senza lungaggini e scorciatoie.
La necessità di un accordo bipartisan sulle riforme esiste ma deve essere trovato nel quadro degli attuali equilibri politici sanciti dalla volontà popolare. Questo è il vincolo cui non si può sfuggire. La maggioranza (che in questa legislatura ha ampi margini) ha il diritto-dovere di guidare il processo riformatore. Vero è che l'accordo costituente tra gli schieramenti di governo e di opposizione, oltre che auspicabile, è quasi indispensabile per il futuro armonico della comunità nazionale. Ma ciò non può costituire una specie di ricatto che paralizza l'intero processo. Le mediazioni tra i diversi punti di vista riformatori vanno ricercati solo fino al punto in cui la trattativa continua porta alla paralisi.
Se anche in questa stagione non si arrivasse a un efficace sbocco riformatore, si tratterebbe di un altro colpo gravissimo. Si è detto e ripetuto che questa sarebbe stata una legislatura costituente: ebbene occorre tenere fede alle promesse prospettate all'elettorato.
Massimo Teodori
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