Costretto a fare il papà (ma solo per pagare)

La premessa è necessaria. Per ragioni di formazione e rispetto delle tradizioni, sono contrario al divorzio e all’aborto che non sia motivato da necessità sanitaria. Per il divorzio, la situazione è semplice: basta non sposarsi. Una persona prudente e avveduta, di sesso maschile, non si sposa, per l’evidente considerazione che nessuna passione e sentimento sono eterni. Ma, se decide di farlo perché è convinto che il suo amore sia senza fine, e crede nella famiglia, in una relazione con una donna che è diversa dalla convivenza, si sposa una volta per tutte e considera, cristianamente, il matrimonio un sacramento. Credente o meno lo considera un sacramento umano.

Per ciò che riguarda il matrimonio cristiano vi è un ulteriore elemento che crea confusione e che ha animato molti annullamenti attraverso tribunali religiosi: prima che fosse introdotto il divorzio il matrimonio era considerato indissolubile, salvo una materiale separazione, che non aveva conseguenze legali, da quando è stato introdotto il divorzio, che è uno strumento, non un sacramento, e che poggia sulla divisione, sulla rottura e non sull’amore, nessun giovane, anche fervente cattolico, che si sposi conserva la certezza che il matrimonio non possa finire. Da qui derivano i numerosi divorzi anche di cattolici. Ma il tribunale ecclesiastico ha trovato una strada per contrastare il divorzio: logica e conseguente. Chiunque, come quasi tutti i giovani, si sposi pensando che il matrimonio potrà sciogliersi, stabilisce un’implicita causa di nullità. Il matrimonio se non è ritenuto indissolubile è, per la Chiesa, nullo. Così gran parte dei giovani, automaticamente cattolici, credono di sposarsi, e in realtà fanno solo una cerimonia. D’altra parte chiunque sia contrario al divorzio, può invece sposarsi una sola volta. E, se vuole evitare il rischio, nessuna.
Più complessa è la questione dell’aborto. È infatti notorio che molti diventano padri senza averlo voluto. In alcuni casi, per incoscienza e mancanza di controllo non possono impedire che avvenga quello che non vogliono. E quindi diventano padri naturali contro la loro volontà.

In passato vi erano matrimoni riparatori, oggi vi sono situazioni più complesse. È dunque evidente che per evitare aborti, nell’ordine, ci sono le seguenti misure: 1) astenersi, 2) accertarsi che la partner usi anticoncezionali, che non sia intenzionata, né casualmente né dolosamente, a restare gravida, 3) usare preservativi, 4) praticare, con qualche rischio, il coitus interruptus. Se, per distrazione, per stanchezza, per mancanza di controllo, si creano le condizioni per far nascere un figlio sappiamo che la Chiesa, e oggi anche Giuliano Ferrara, considerano vita anche l’inizio del concepimento. Ma la vita non ha niente a che fare con la paternità. Infatti non si può essere padri per istinto incontrollato, ma occorre essere padri della volontà, ovvero decidere di essere padri.

Io non ho mai pensato di essere padre, per naturale nichilismo, pur essendo culturalmente cristiano, e non ho mai pensato di continuarmi in un figlio. Qualche figlio, peraltro, ho avuto. Che non fosse nelle mie intenzioni essere padre è implicito nel fatto che non mi sono sposato. Altrimenti avrei costruito una famiglia sul modello di quella di mio padre. Ma i tempi sono cambiati (io sono nato più di mezzo secolo fa) e la mia visione è diversa. Ho sempre pensato però che una donna che sente in sé la vita, anche senza averlo voluto, è più motivata di un uomo, è più implicata; e quindi, istintivamente contrario all’aborto, ad ogni donna che mi ha detto di essere incinta, ho consigliato di non abortire e di essere madre. Per sé e nella piena convinzione e maturità della scelta, non per avere me come marito o padre, e senza garantire nessuna delle due funzioni. Mi è sempre sembrato che l’unica grande conquista del femminismo fosse aver ridotto la potestà del padre, consentendo alle donne di essere madri anche senza padre e cancellato la figura discriminata della «ragazza madre».

Da qui deriva l’estrema conseguenza, di cui sono fermamente convinto, che i figli «appartengono» alle madri. E i padri che ne chiedono l’affidamento e che, fuori della famiglia costituita, ne vogliono una condivisa potestà, altro non chiedono che quote di maternità. Se uno vuol essere padre si deve sposare (o convivere) e fare una famiglia. Altrimenti, se ognuno prende il suo destino, il figlio è della madre che l’ha fatto. Non ho mai avuto dubbi.

Eppure, con tutta l’autonomia e l’indipendenza delle donne che ho reso madri, mi sono sempre trovato al centro di vicende giudiziarie non per ottenere ragionevoli alimenti, ma per dare migliaia di euro al mese per il mantenimento del figlio e della madre, come fosse una moglie. La prima richiedente, benestante se non ricca, e pienamente soddisfatta della sua maternità, nei primi anni Novanta mi fece chiedere dalla sua avvocata 40 milioni di lire al mese, ridotti dal giudice in 11 milioni al mese, per garantire al figlio di 4-5 anni il mio intero stipendio parlamentare. Ancora oggi, avendo mio figlio 19 anni, io gli verso in sostanza uno stipendio pari a quello di assessore, circa 3.600 euro al mese. Oggi, in un secondo caso, con una ragazza da me, ai suoi 35 anni, esortata a una maternità che sembra averla resa felice, tanto da chiedermi al di fuori del matrimonio un altro figlio, improvvisamente vengo portato in tribunale per versare 2.500 euro al mese e per vedermi sequestrati, tra arretrati (mai prima pretesi) e accrediti per il futuro, 560mila euro. Il mantenimento della figlia (e con lei, credo, anche della madre) fino ai 26 anni.

In tal modo la giustizia italiana risolve i problemi della disoccupazione trasformando il padre in un datore di lavoro per figli beatamente disoccupati, ben oltre la maggiore età, e per donne che, dopo una notte di trasporto amoroso, divenute madri per scelta consapevole, si sistemano fino alla pensione. Oltre all’assegno garantito per 26 anni, ben superiore a quello che un padre verserebbe in una famiglia regolare, presto i giudici costringeranno l’amatore di una notte (per carità, distratto, colpevole, incosciente) a mantenere la donna e il figlio fino alla vecchiaia di entrambi.

Facciamo un esempio: se un uomo con un lavoro certo e uno stipendio ottenesse da un tribunale l’affidamento di un figlio dopo una separazione, la donna rimasta senza il figlio sarebbe chiamata a dare danari per mantenerlo? Io non ho mai preteso di fare il padre; e per questo con piena soddisfazione e realizzazione nella maternità delle madri dei miei figli ho ritenuto di non intervenire in nessuna scelta e di lasciare i figli e l’orientamento del loro destino alle madri.

La prima, per rabbia, ha depositato presso un notaio la sua precisa determinazione che nessuno potesse pretendere di dirsi padre di quel figlio. La seconda mi ha chiesto 800mila euro in coincidenza con alcune mie difficoltà finanziarie. Quando si dice che i figli sono cari!

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