Per Veltroni non arriva mai il tempo delle vacche grasse. In Sardegna ha perso Renato Soru e ha perso il partito. Da ieri, oltre a Bersani, non c’è un candidato in più alla segreteria del Pd, ma l’insuccesso è bruciante anche se Soru se l’è cercato lasciando il Pd e Veltroni nei guai. L’ambizioso ex-governatore sardo ha prima spaccato il partito, poi, ambendo alla segreteria nazionale, l’ha trascinato in una nuova imprevista sconfitta.
È stato un inizio di settimana terribile per Veltroni. Oltre all’affollarsi di candidati alla sua poltrona, tiene banco la mutata morfologia dello scontro interno che viene rivelato dalle notizie della periferia.
Le primarie di Firenze e di Prato, che hanno designato i candidati sindaci del Pd per le prossime amministrative, hanno portato a risultati sorprendenti. A Firenze ha vinto Matteo Renzi, rutelliano doc, che ha battuto con largo margine sia il veltroniano Lapo Pistelli sia il dalemiano Michele Ventura. Mentre a Prato l’ex dc Massimo Carlesi, seguace di Rosy Bindi, ha battuto il candidato dell’apparato. I tre risultati dicono qualcosa di inquietante per il vertice del Pd. È fallito in Sardegna il matrimonio con la cosiddetta società civile e in Toscana sono stati premiati i due candidati non diessini e non appoggiati dalla nomenklatura. Si potrebbe dire che le minoranze romane sono diventate d’improvviso maggioranze periferiche. Segno che l’insoddisfazione dei militanti comincia a colpire il quartiere generale, tutto quanto.
La situazione interna al Pd ha preso ad attraversare, quindi, una nuova tempesta. Lo scontro fra le correnti si è fatto talmente acceso ed estenuante che un fedelissimo del segretario, il senatore Giorgio Tonini, ieri ha ripetuto l’invito a indire immediatamente il congresso. Del resto che di vera e propria vigilia congressuale si tratti, è stato chiaro dopo la decisione di Pierluigi Bersani di ufficializzare anzitempo la propria candidatura alla segreteria del Pd. Massimo D’Alema, all’indomani dello sciopero Cgil dove sia lui sia Bersani avevano vistosamente portato la solidarietà degli ex diessini, ha sostenuto che solo grazie a Bersani si potrà realizzare il riavvicinamento fra settori di militanti che si sono allontanati e il partito guidato temporaneamente da Veltroni.
In verità anche per D’Alema queste primarie toscane portano una cattiva notizia con il fallimento della candidatura di un suo uomo, l’ex vice-sindaco e deputato Michele Ventura. C’è un’altra defezione dal campo veltronian-dalemiano che sta facendo rumore. Il senatore Ignazio Marino, già presidente nella scorsa legislatura della commissione sanità, ha deciso di anticipare i tempi e di proporre un referendum abrogativo per la futura legge sul testamento biologico. Una decisione che certamente non è in sintonia con il tentativo di Veltroni di mediare con l’anima ex popolare, ma anche una cattiva notizia per il vecchio sponsor di Marino, Massimo D’Alema, che si era tenuto fuori dalle dispute sul caso Englaro.
È un panorama terremotato quello che si presenta di fronte all’osservatore delle vicende del Pd, dopo il voto sardo e le primarie toscane. Sullo sfondo un doppio rischio. Il primo è quello di una scissione che molti credono sia nei progetti di Francesco Rutelli. L’ex sindaco di Roma nega, ma la sua contrarietà alle scelte del vertice del partito ha ormai superato la soglia di guardia e persino alcuni suoi più stretti collaboratori, come Paolo Gentiloni, ignorano quali siano i suoi veri progetti. Il secondo rischio, quello più concreto, è lo sfinimento, ben prima della battaglia elettorale per le Europee e per le amministrative, dell’intero partito. Qui si possono collocare l’iniziativa e le ambizioni di D’Alema, che non ha alcuna voglia di spaccare la sua creatura ma chiaramente considera insopportabile l’attuale gruppo dirigente.
Veltroni si trova nella classica condizione dell’uomo solo al comando. Potrà soccombere o trasformare questa solitudine in una occasione per dividere i suoi avversari e tentare la rivincita. Probabilmente a questo pensa. Sicuramente a questo pensano i suoi più stretti collaboratori quando gli consigliano la battaglia aperta.
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