RomaIsraele «ascolti la voce dei suoi amici», italiani e statunitensi in primis. S’impegni quindi a «ridare una chance alla pace» in Medio Oriente, fermando i «controproducenti» insediamenti, specie a Gerusalemme est, che «possono compromettere seriamente le possibilità di ripresa del dialogo». Senza contare la «soluzione del conflitto con il Libano e la Siria», a cui arrivare grazie alla restituzione delle alture del Golan al governo di Damasco. Nel giorno del silenzio elettorale pre-Amministrative, Silvio Berlusconi mette da parte beghe e polemiche nostrane, vestendo i panni di mediatore internazionale: per superare la crisi nata dai nuovi insediamenti a Gerusalemme Est, ma anche per risolvere la querelle sui visti tra Libia e Svizzera.
Così, lasciata al mattino la capitale, il Cavaliere vola a Sirte per intervenire al vertice della Lega Araba. Un «doppio» lavoro: da un lato l’occasione giusta per chiedere al governo di Benjamin Netanyahu di ammorbidire le proprie posizioni, dall’altro chiuso per quasi due ore in una stanza del Centro congressi che ospita il summit assieme al ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos e soprattutto al primo ministro libico Baghdadi Ali al Mahmudi. Un pressing diplomatico durante il quale il Cavaliere ha sfruttato fino in fondo tutti i suoi «buoni uffici» con Muammar Gheddafi, accelerando la conclusione di trattative che si trascinavano da oltre un mese e mezzo.
Nuove colonie Unico leader occidentale a prendere la parola al ventiduesimo summit, come osservatore - su invito della massima autorità del Paese ospitante, Muammar Gheddafi, e del segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa - il premier, dopo alcuni colloqui bilaterali «molto amichevoli», ribadisce la posizione di Palazzo Chigi: «Non possiamo non esprimere la nostra più profonda preoccupazione per una situazione che sembra ulteriormente deteriorarsi, come dimostrano anche gli eventi nella Striscia di Gaza». Insomma, «non possiamo tollerare oltre la situazione di crisi umanitaria», sottolinea il presidente del Consiglio, augurandosi che il primo ministro israeliano «accolga l’appello rivoltogli da tutta la comunità internazionale a compiere gesti concreti e positivi per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi».
E a proposito di Palestina, il Cavaliere fa sua la road-map delineata dal «Quartetto» per il Medio Oriente: «Non vediamo alternative alla soluzione di due Stati, se non a prezzo di nuove crisi e nuove sofferenze che colpirebbero anzitutto il popolo palestinese». Per questo motivo Berlusconi ribadisce il suo «sostegno» al presidente dell’Anp, Abu Mazen, sottolineando la necessità di raggiungere «una soluzione pacifica e responsabile con un orizzonte temporale di breve termine, al massimo di due anni».
Allargando di nuovo lo scenario, Berlusconi rimarca l’apprezzamento per la mediazione americana: «Credo molto nell’impegno del presidente Barack Obama e della sua amministrazione», anche perché «è questo il momento di dare una chance alla pace. Ne abbiamo la possibilità, ne portiamo la responsabilità, ne sentiamo l’urgenza».
Inevitabile un passaggio sulle posizioni di Mahmud Ahmadinejad. «L’evoluzione del dossier iraniano non appare incoraggiante», commenta il Cavaliere, convinto che «un grande Paese dalla storia millenaria dovrebbe svolgere una leadership costruttiva, anziché sfidare la comunità internazionale, minacciando una pericolosa proliferazione nucleare». Detto questo, «vogliamo comunque sperare che alla fine la ragione e il buonsenso riescano a prevalere».
Crisi dei visti Grazie all’intervento decisivo del premier italiano si è sbloccata anche la crisi dei visti tra Libia e Svizzera che aveva finito per tracimare in tutta Europa: il veto sulle 188 personalità libiche - tra cui il colonnello Gheddafi - inserite nella «black-list» stilata da Berna è stato definitivamente cancellato dal sistema Schengen e subito dopo Tripoli ha a sua volta revocato la sospensione dei visti d’ingresso nel Paese ai cittadini dei Paesi Schengen. Febbrili momenti di trattative per arrivare a superare la richiesta di Tripoli che pretendeva scuse ufficiali da parte dell’Europa. Un’ammissione di colpa che però l’Europa non poteva - e non voleva - assumersi, dal momento che la «leggerezza» di inserire i libici in una lista nera per «fini politici» (come aveva denunciato il ministro degli Esteri Franco Frattini nelle settimane scorse) era stata compiuta dalla Svizzera, membro di Schengen, ma non dell’Unione europea. È su questo nodo che si è concentrata la mediazione di Berlusconi. Alla fine, un comunicato riusciva a trovare il punto d’incontro: l’Ue - accanto al «rammarico», che ai libici non bastava - «deplora» quanto è avvenuto e «i disagi derivati dalla misura in questione ai cittadini libici». Tanto è bastato per chiudere il cerchio, assieme ovviamente alla specifica che «tutti i cittadini libici precedentemente inseriti nel sistema Schengen sono stati definitivamente cancellati» e che l’Unione europea «non ha avuto alcun ruolo» nell’iniziativa svizzera.
Solo in serata, rientrato a Roma, il Cavaliere si concede uno dei suoi consueti giri di shopping nei negozi vicini a Palazzo Grazioli.
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