Impagnatiello e Turetta, le condanne dei femminicidi

I capelli rasati, gli sguardi bassi, le mosse: l’anno in cui i carnefici ci hanno raccontato tutto (anche delle vittime)

Impagnatiello e Turetta, le condanne dei femminicidi
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Se il 2023 è stato l’anno dei più orrendi femminicidi, il 2024 è stato l’anno della loro dissezione. I particolari, i tempi, i modi vigliacchi, i personaggi «secondari » e gli assassini alla sbarra. I capelli rasati, gli occhi bassi, i passi meno spavaldi. Il prima e il dopo del carnefice di Giulia Tramontano, Alessandro Impagnatiello, e di quello di Giulia Cecchettin, Filippo Turetta. Le cento personalità di Imagnatiello scandagliate da inquirenti e media: le amanti, l’ex moglie, il primo figlio, quello che è riuscito a nascere a differenza del piccolo Thiago che stava accovacciato nella pancia di Giulia da sette mesi. E poi i racconti dalla sua viva voce: l’approvvigionamento di veleno, la metodica spietatezza per liberarsi della compagna e del bambino e la vita «apparente» portata avanti poco lontano da quell’orrore mascherato da futura famiglia. Le foto con i parenti mentre sorride e innalza i calici e intanto sta avvelenando la compagna e il feto goccia a goccia fino all’epilogo brutale e a quei due corpi, uno dentro l’altro, buttati via in qualche posto come quando si vuol nascondere la spazzatura. Aveva persino cercato di bruciarli, prima con l’alcol e poi con la benzina.

E poi Turetta e la sua ossessione per Giulia in quei duecentoventicinquemila messaggi di pura tortura in cui alternava imprecazioni e suppliche, togliendole il fiato in ognuno. Quel volto piatto di emozioni in aula come prima, fuori, mentre comprava ciò che sarebbe servito per ammazzare Giulia e poi occuparsi del cadavere: i nastri, i sacchi neri, i coltelli, le mappe per la fuga... Intanto la tormentava di sensi di colpa e le faceva sempre più paura e cercava di impedirle di andare «avanti» all’università come nella vita e la seguiva, la controllava, l’aspettavadavanti casa. Le liti di cui si è saputo poi, le interminabili, violente liti scatenate sempre da Filippo e dalla sua furia apparentemente silente.

È stato l’anno in cui abbiamo visto le famiglie non darsi pace: quelle delle vittime come quelle degli assassini. Sotto i riflettori o sotto un cono d’ombra, rovinate in ogni caso. La vita che resta non c’è più per nessuno. Ergastolo a entrambi i colpevoli (quella di Impagnatiello è arrivata proprio nella giornata contro la violenza sulle donne), ma è finita anche per tutti gli altri.

E si è parlato tanto e scritto tanto anche delle condanne: le aggravanti escluse e le attenuanti richieste, il diritto alla difesa, le riprese concesse, le avvocatesse in difesa dei brutali assassini di altre donne.

Sono stati due delitti simbolo, per quanto faccia orrore una tale definizione perché tutte le vittime hanno diritto alla stessa attenzione, ma le storie dietro a questi orrori, i mestieri «normali», le famiglie «normali», i ragazzi «normali » a far da involucro a due spietati assassini, hannotrafitto l’immaginario comune. Come le vittime: la foto di Giulia Tramontano in costume da bagno, in mezzo all’acqua cristallina, i tatuaggi ad arrampicarsi sul braccio e il sorriso soddisfatto sotto alla visiera di paglia mentre si accarezza il pancione; o l’immagine di Giulia Cecchettin, che invece sorride da sotto un basco invernale, avvolta nel suo giubbotto con il collo di pelo.

È serena, limpida, mansueta: la miglior rassicurazione per qualsiasi genitore, l’amica con la quale ogni madre vorrebbe veder uscire la propria figlia, la compagna di banco perfetta, la sorella che chiunque vorrebbe avere.

Ecco, nel 2024 abbiamo saputo tutto di loro. E dei loro assassini. Senza comunque capire perché non ci siano più, nessuno dei quattro.

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