A Mestre (Venezia), nella storica aula bunker in cui sono sfilati imputati e testimoni di processi eccellenti, dalle Br ai Casalesi, dalla revisione dell’omicidio Calabresi ai colletti bianchi di Tangentopoli, si è svolto oggi l’Appello nei confronti dell’anarchico spagnolo Sorroche Fernandez Jouan Antonio, condannato dalla Corte d’Assise alla pena di 28 anni in quanto ritenuto "colpevole di attentato a fini terroristici ed eversivi e di fabbricazione e porto di ordigni esplosivi", attualmente detenuto nel carcere di Terni, per il quale, come riportato dal nostro giornale, domenica scorsa si è svolta una manifestazione di sostegno da parte di un gruppo di anarchici.
Alle 19.15, dopo più di sei ore di camera di consiglio, il presidente della Corte d’Appello di Venezia, Carlo Citterio, ha letto il dispositivo di sentenza: "In parziale riforma della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Treviso in data 9 settembre 2022 nei confronti di Sorroche Fernandez Jouan Antonio, appellata dall’imputato, ritenuta per il reato di cui all’art. 280 Codice Penale la fattispecie di attentato alla sola incolumità personale per finalità di terrorismo, ridetermina la pena in anni quattordici e mesi dieci di reclusione".
La corte, quindi, conferma la sussistenza dell’art. 280 c.p. ritenendo, tuttavia, da quanto si intuisce dal dispositivo, che non fosse un attentato alla vita ma alla incolumità delle persone. Pertanto la pena, che sarebbe stata nel primo caso non inferiore ad anni 20, nel secondo caso è non inferiore ad anni 6. Di conseguenza ha rideterminato la pena sulla scorta di 14 anni e mesi dieci. Il risarcimento alla parti civili è rimasto invariato, pari a 30mila euro. La sentenza condanna Sorroche anche alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile “Lega Nord - Lega Veneta”, pari a seimila euro.
Per la parte civile non è una sorpresa: "È una valutazione che ha fatto la Corte - sostiene l’avvocato Stefano Turbian - circa l’impianto accusatorio, che può essere più o meno condivisibile, ma dire che è una sorpresa è eccessivo". L’avvocato generale della Procura della Corte d’Appello di Venezia questa mattina aveva chiesto 21 anni di carcere per Sorroche. Nell’agosto del 2018 avrebbe collocato due ordigni esplosivi nella sede della Lega di Villorba (Treviso). L’obiettivo sarebbe stato quello di attirare l’attenzione della Polizia con un primo innesco. E, l’eventuale deflagrazione della seconda bomba, all’arrivo delle forze dell'ordine. Motivo per cui era stato condannato a 28 anni.
Davanti alla sede giudiziaria nessun manifestante, ma in aula c’erano alcuni noti esponenti locali. L’imputato non era presente, ma ha seguito i lavori in videoconferenza. Giancarlo Buonocore, avvocato generale della Procura della Corte d’Appello di Venezia, aveva ampiamente documentato gli elementi probatori sostenendo che il primo motivo di appello, ovverosia il dubbio sull’esame del dna, "non è condivisibile", inserendo il lavoro investigativo svolto dalla polizia giudiziaria all’interno di una "completezza dell’attività investigativa".
Nella sua requisitoria ha sostenuto che esistesse la volontà di Sorroche nel realizzare "due ordigni per colpire la politica razzista e autoritaria". Il primo, un innesco trappola e il secondo una pentola a pressione contenete 5mila chiodi e un chilo di esplosivo, in grado di creare profonde lacerazioni, con gravi conseguenze fisiche. Buonocore ha sottolineato, quindi, che non si trattò di un gesto puramente dimostrativo. "Sorroche è rimasto invischiato nel paradosso del terrorista: pretende diritti e facoltà a suo favore, ma non li riconosce ai suoi interlocutori".
La difesa, rappresentata dall’avvocato Flavio Rossi Albertini - che difende anche Alfredo Cospito - aveva posto l’attenzione sul fatto che l’imputato non avesse la precipua volontà di provocare una strage, ma che si trattasse di un atto dimostrativo. Inoltre, ha sostenuto la mancanza di informazioni sulla presunta capacità del secondo ordigno artigianale ritrovato nella sede della Lega trevigiana. Un verifica, secondo il legale, pressoché impossibile dal momento che il 12 agosto 2018 venne disassemblato.
Pertanto, stando alla tesi dell’avvocato Albertini, non c’era la prova che potesse esplodere. Alla fine della sua requisitoria Albertini ha citato anche il caso Cospito in merito alla contestazione dell’art. 285 CP. "Un reato non contestato nemmeno per le stragi come via d’Amelio, Piazza fontana, la stazione di Bologna, la trattativa Stato-Mafia". In buona sostanza Albertini fa presente alla Corte che "per gli anarchici si è smarrito il principio di ragionevolezza, trattati come Totò Riina".
Alla fine sembra che in qualche modo abbiano prevalso le ragioni sostenute dalla difesa.
Ovvero, che i cartelli con la scritta "bomba", posti nelle vicinanze del secondo ordigno, avessero paradossalmente avuto la funzione di allertare gli operatori, che sarebbero intervenuti a seguito della prima esplosione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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