
Sul caso Garlasco è caccia al perito. In vista dell'incidente probatorio chiesto dalla Procura di Pavia sull'omicidio di Chiara Poggi, e che probabilmente il gip Daniela Garlaschelli disporrà (la difesa di Andrea Sempio si oppone), sono in molti ad augurarsi che il perito nominato dal giudice sarà all'altezza del compito. L'esperto sarà incaricato delle analisi genetiche, anche su campioni e reperti a quanto sembra mai esaminati o che hanno dato esiti incerti, e del confronto con il materiale prelevato a Sempio. Ma la scelta del giudice sarà tutt'altro che semplice. «Sarebbe importante che da questa vicenda complicata il sistema imparasse a migliorarsi», sottolinea il biologo forense Luca Salvaderi.
In campo attualmente ci sono Carlo Previderè, per la Procura, Marzio Capra, storico consulente dei Poggi, e l'ex generale del Ris Luciano Garofano, scelto dalla difesa Sempio. A questo punto la lista dei papabili si accorcia. Sì, perché del caso si sono occupati in 18 anni molti dei super esperti su piazza. A partire da Francesco De Stefano, che firmò la perizia chiave relativa al Dna sulle unghie della vittima, incaricato dai giudici dell'Appello bis. Poi c'è il Ris dei carabinieri, protagonista delle analisi della prima ora. Ancora: la Medicina legale di Torino e Pasquale Linarello, il genetista che per primo ha rilevato il profilo dell'amico del fratello di Chiara. Chi resta? Il «totonomi» è partito. Il primo dato: non ha fin qui messo mano al caso la polizia Scientifica.
È un incarico di prestigio, tuttavia scivoloso per il rischio di esporsi in una vicenda tanto controversa. «E anche per la difficoltà delle analisi - spiega Salvaderi -. Siamo davanti a reperti molto vecchi, verosimilmente con bassissima quantità di Dna. In particolare quello eventualmente sotto i cartellini dattiloscopici (gli adesivi usati per rilevare le impronte, ndr), che potrebbe essere degradato per via del tempo trascorso. A mio parere è indispensabile che il gip si rivolga a un laboratorio accreditato». Cioè a uno dei laboratori che, in base alla normativa sulla Banca dati del Dna, devono garantire requisiti di qualità riconosciuti a livello internazionale e sono sottoposti ai controlli di un ente terzo (Accredia). «Inoltre solo un laboratorio accreditato potrà inserire nella Banca dati nazionale del Dna un eventuale profilo genetico ignoto». Oltre a quelli delle forze dell'ordine - Ris e Scientifica - ce ne sono pochi altri. Quello di Orbassano fa capo a Paolo Garofano, nipote dell'ex generale; quelli degli ospedali di Ancona e Terni, del San Camillo di Roma e di Firenze Careggi, dove però lavora Ugo Ricci, consulente di Stasi; quelli dell'università di Bologna e di Tor Vergata, dove lavora Emiliano Giardina, già coinvolto nel caso Yara ma mai su Garlasco. Infine i privati: Eurofins Genoma di Milano, dove lavora Linarello, e Labsel di Lequile, nel Leccese. Però alcuni referenti di questi centri sono legati, anche per motivi accademici, a professionisti coinvolti in passato. In generale capita che la scelta di consulenti e periti avvenga con il passaparola o affidandosi al «volto noto». «L'accreditamento invece, anche in Europa, viene considerato da anni un parametro di qualità oggettiva».
Conclude l'esperto: «A prescindere da chi sia il colpevole, un aspetto triste della storia è la brutta figura che, a mio parere, ci fa l'intero sistema agli occhi della gente. Passa il messaggio che il Dna sia uno strumento non attendibile e invece se le analisi sono eseguite correttamente, nella maggior parte dei casi e per certe tipologie di reati è un ottimo strumento, spesso decisivo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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