Per spiegare a un marziano piovuto sulla Terra perché la giustizia italiana è al suo minimo storico di credibilità basterebbe parlargli della sentenza della Cassazione di ieri che ha assolto un boss per un omicidio, rimandandolo a processo per un altro omicidio commesso nello stesso agguato. È il pessimo (semi)epilogo giudiziario della bruttissima storia del poliziotto Nino Agostino, ucciso assieme alla moglie Ida Castelluccio (incinta di cinque mesi e sua sposa da uno) il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, in provincia di Palermo, entrambi falciati da una pioggia di piombo sparata da sicari in motocicletta sbucati all'improvviso a una festa di compleanno. Secondo la Corte di Cassazione, che ieri ha annullato con rinvio la sentenza di condanna del boss Nino Madonia per l'omicidio Agostino, non ci sarebbe la premeditazione del boss di Resuttana di uccidere anche la Castelluccio, per cui il reato per la morte di lei è prescritto.
Sarebbe stata la prima condanna definitiva per un omicidio commesso più di 35 anni fa. L'Italia patria del diritto ci consegna una sentenza beffa che allontana ancor di più la verità giudiziaria da quella storica, se mai ce ne sarà una. Agostino stava indagando sul fallito attentato dell'Addaura contro Giovanni Falcone: qualche giorno prima di morire, il 21 giugno, trovò un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo sulla spiaggia vicino alla villa del giudice ammazzato a Capaci nel 1992. Qualcuno tra inquirenti e giornalisti malignò che Falcone se lo fosse persino inventato, l'attentato. Ai funerali il giudice istruttore, davanti alla bara assieme a Paolo Borsellino, disse ad un commissario: «A quel ragazzo devo la vita». Uno degli autori del fallito attentato orchestrato da Madonia disse che buttò via il telecomando perché aveva visto Agostino e si era spaventato. L'agente andava spesso in moto a caccia di latitanti assieme a un altro sbirro, Emanuele Piazza, scomparso nel 1990 e di cui non si è mai trovato il corpo. Possibile che i due agenti collaborassero coi servizi «regolari», che dietro l'attentato ci fossero quelli «deviati» era convinto il padre di Agostino, Vincenzo, che dalla morte del figlio non si è mai più tagliato la barba in segno di protesta. L'amarezza dei familiari è in questa frase: «Meno male che lui e la moglie sono morti e si sono risparmiati questo verdetto».
In questi anni il loro avvocato Fabio Repici ha chiesto a lungo alla Procura di Caltanissetta di indagare sul ruolo dell'ex poliziotto Giovanni Aiello, detto «Faccia di Mostro», presente all'Addaura secondo alcuni testi. Per tutta risposta Repici si è beccato una calunnia da tre magistrati, in servizio all'epoca: Gabriele Paci, Stefano Luciani e Lia Sava. Perché a suo dire i pm avrebbero deciso di «assolvere» da morto Aiello, negando legami con mafia e 007, con un memoriale da quasi 300 pagine pur di «sabotare» - «con mistificazioni, omissioni e imprecisioni» secondo Repici - il processo a un altro boss accusato di essere tra i mandanti della morte di Agostino, vale a dire Gaetano Scotto, condannato all'ergastolo (sentenza non definitiva) a fine 2024.
In un Paese normale avere giustizia non dovrebbe essere complicato, eppure ci toccano le comparsate in Tribunale delle toghe con la Costituzione in mano perché contrarie a una riforma che a Falcone sarebbe piaciuta eccome, mentre al premier Giorgia Meloni arrivano avvisi di garanzia per reati inesistenti che mai confluiranno in un processo. Mentre chi cerca davvero la verità rischia di essere condannato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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