La band P38 sfida i giudici e deride la procura: "Ci istighiamo da soli"

La Cassazione dovrà esprimersi sulla richiesta della procura di Torino di disporre i domiciliari per i membri della band musicale P38, dopo il "no" del gip e del Riesame. Intanto, il gruppo accusato di inneggiare alle Brigate Rosse continua ad esibirsi e sui social non ha risparmiato una "stoccata" alla procura

I membri della band P38
I membri della band P38

È trascorso ormai un anno da quel concerto che fece gridare allo scandalo. Nel mirino degli inquirenti è finito anche l'ex-presidente del circolo emiliano che ospitò l'esibizione del gruppo musicale inneggiante alle Brigate Rosse e alla lotta armata. Ma i componenti della band P38 non solo restano ancora a piede libero, ma continuano a tenere concerti per sostenere le spese legali. E di tanto in tanto non sembrano risparmiare "stoccate" all'accusa. Per quanto siano accusati di istigazione a delinquere e la procura di Torino abbia richiesto gli arresti domiciliari, la richiesta è infatti stata respinta sia dal giudice per le indagini preliminari che dal tribunale del Riesame. Questi gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sulla formazione musicale resasi protagonista il 1 maggio del 2022 di una performance decisamente sopra le righe, al Circolo Tunnel di Reggio Emilia. I cantanti si erano presentati con una bandiera delle Brigate Rosse, cantando alcuni brani legati agli "anni di piombo" nei quali avrebbero inneggiato a riprendere la lotta. E com'era prevedibile, è scoppiato un putiferio.

La P38 deride la procura

In questa situazione, la P38 sta continuando a suonare in giro per l'Italia: sabato prossimo il gruppo si esibirà ad esempio a Roma, con il ricavato della serata che servirà a coprire le spese legali. Già nei mesi scorsi i loro fan avrebbero lanciato alcune collette, proprio per questo motivo. E sulla propria pagina Instagram, la band non ha risparmiato quelle che sembrano vere e proprie "frecciate" rivolte alla procura di Torino. Iniziando proprio dal titolo del prossimo concerto nella capitale, chiamato provocatoriamente "Apologia Vol.1". Apologia non è più solo un vago reato da appioppare ai rapper che vi stanno anticipatici per provare a mandarli ai domiciliari. Apologia è solidarietà in attacco”, si legge nel post in cui la band ha presentato l'evento in programma fra tre giorni. "Abbiamo fatto 20mila, ne faremo 40mila - recita invece un altro messaggio ironico pubblicato nei giorni scorsi, riferendosi con tutta probabilità alla cifra raccolta in questo periodo - o almeno lo speriamo, altrimenti i nostri avvocati ci sequestreranno. L'esasperazione in Italia: ci istighiamo da soli".

Il "no" ai domiciliari: adesso tocca alla Cassazione

“La lotta armata è appena tornata di moda, adesso sono c.... vostri” recitava invece uno dei loro brani, mentre un'altra canzone citerebbe l'omicidio di Aldo Moro in toni dissacranti. Iniziativa che i familiari dell'ex-presidente del Consiglio vittima delle Brigate Rosse non hanno a quanto pare gradito. Idem dicesi per il figlio di Giovanni D'Alfonso, l'appuntato rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con i brigatisti nel 1975, che già lo scorso anno aveva denunciato la band. Secondo la procura torinese, i messaggi veicolati dagli artisti andrebbero ben oltre il linguaggio della musica trap e rappresenterebbero un tentativo di“spronare all’imitazione di quanto esaltato nei testi”.

Dopo il "no" ai domiciliari arrivato dal gip, è però arrivato anche quello del Riesame, in quanto sanzionare la condotta del gruppo porterebbe “a concrete conseguenze pericolose proprio per l’ordine pubblico che si vorrebbe tutelare”. I pm hanno quindi fatto ricorso in Cassazione, con il verdetto che dovrebbe arrivare a breve.

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