Il tribunale dei ministri di Brescia ha archiviato "perché il fatto non sussiste" le posizioni dell'ex premier Giuseppe Conte e dell'ex ministro della Salute Roberto Speranza indagati nell'inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione della prima fase della pandemia in Val Seriana. "Va innanzitutto detto - si legge nel documento consultato da ilGiornale.it - che agli atti manca del tutto la prova che le 57 persone indicate nell'imputazione, che sarebbero decedute per la mancata estensione della zona rossa" ai comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nella Bergamasca, "rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero state se fosse stata attivata la zona rossa". Il tribunale dei ministri - con un provvedimento non impugnabile - ha accolto così la richiesta della procura bresciana. Nell'atto si legge inoltre che "non è configurabile il reato di epidemia colposa" e che la notizia di reato è "totalmente infondata".
"I dati incerti e fluidi"
L'accusa a Conte, difeso dall'avvocata Caterina Malavenda, è nata da un appunto dell'ex membro del Cts Agostino Miozzo, anche lui indagato nell'inchiesta e agli atti di questa indagine. È il 2 marzo 2020 ed è passata più di una settimana dall'istituzione della zona rossa a Codogno e negli altri comuni del lodigiano. Miozzo riferisce ai pm che quella sera l'ex premier incontra, in una riunione informale, il presidente dell'Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro. I contagi stanno aumentando vertiginosamente in Val Seriana, da più parti si invocano chiusure rigide come quelle già applicate nei giorni precedenti in altre zone della Lombardia. Ma Conte decide di aspettare. Un atteggiamento attendista che - secondo l'ipotesi accusatoria iniziale, oggi respinta - avrebbe causato migliaia di morti. Il tribunale dei ministri parte però da un assunto: "L'allora Presidente del Consiglio Conte avrebbe dovuto decidere, circa l'istituzione della zona rossa, proprio il 2 marzo 2020, ossia non appena avuta informazione della situazione dei due comuni". E questa, secondo i giudici, era ipotesi "irragionevole" perché "non teneva della necessità per il Presidente del Consiglio di valutare e contemperare i diritti costituzionali coinvolti e incisi dall'istituzione della zona rossa". Si sarebbe trattato, insomma, "di valutazioni che, per la loro gravità, non è esigibile e neppure auspicabile che vengano assunte senza un' adeguata ponderazione dei dati di conoscenza acquisiti, del loro grado di certezza e delle conseguenze denivanti dall'istituzione di una zona rossa". I dati, poi si legge sempre nel documento, erano all'epoca "incerti e fluidi". E quindi si è trattato - secondo i giudici - di "una decisione politica sottratta al vaglio giurisdizionale".
"Il piano pandemico era inadeguato"
È stata anche archiviata la posizione dell'ex ministro della Salute Speranza, esponente di Articolo 1, accusato di rifiuto d'atti d'ufficio per non avere firmato il piano pandemico del 2006, che conteneva misure per contenere l'influenza. Certamente un piano inadeguato, che però aveva già in sé alcune indicazioni importanti (tamponi e organizzazione dei posti letto negli ospedali) per attuare una prima linea difensiva anche contro l'emergenza Covid. Secondo il tribunale dei ministri "il piano pandemico del 2006 non era per nulla adeguato ad affrontare la pandemia da Sars-CoV-2. Il Prof. Merler e il dott. Greco, tra gli autori del Piano del 2006, nelle sommarie informazioni da loro rese, si sono espressi in termini drastici circa l'inutilità di quel piano per affrontare la pandemia". Il difensore di Speranza, l'avvocato Guido Calvi, dopo l'interrogatorio a Brescia aveva sottolineato: "Quel piano era totalmente ininfluente per combattere la pandemia da coronavirus". Speranza, tramite il suo legale, aveva scaricato la colpa su Andrea Crisanti, oggi senatore Pd, che nella sua consulenza di parte ha messo in luce le mancanze del governo dopo gli allarmi dell'Oms rispetto a una nuova emergenza sanitaria. "Ha commesso un grave errore nella sua perizia - aveva detto il legale - inducendo a sbagliare anche i magistrati di Bergamo".
I familiari: "L'archiviazione è uno schiaffo in faccia"
"Questa archiviazione è uno schiaffo in faccia a tutti noi - le parole di Consuelo Locati, del team legale dei familiari - e all'Italia intera che si merita un sistema politico e di giustizia più trasparente.
Siamo intransigenti con quanto fatto dalla Procura di Brescia e dal Tribunale dei Ministri: l'archiviazione è un vilipendio alla memoria dei nostri familiari, un bavaglio, l'ennesimo in un'Italia corrosa dall'omertà contro cui ci siamo sempre battuti e continueremo a farlo nelle sedi che ci restano, come quella civile”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.