Invano. Sono passati quarant’anni dal giorno in cui venne arrestato un innocente Enzo Tortora, diventato da allora il simbolo di tutte le vittime degli errori giudiziari. Era il 17 giugno del 1983. «Ma da allora è cambiato ben poco», dice al Giornale il deputato di Forza Italia e vicepresidente della commissione Giustizia alla Camera, Pietro Pittalis. Che ieri, mentre al Senato si discuteva la riforma della giustizia con l’approvazione di Palazzo Madama all’abolizione dell’abuso d’ufficio, ha (ri)lanciato la proposta di istituire per il 17 giugno la Giornata nazionale alle vittime di ingiusta detenzione ed errori giudiziari in Italia, che riprende un’iniziativa della scorsa legislatura con un disegno di legge firmata anche dal Partito Radicale, dalla Fondazione Enzo Tortora, dal Comitato per la giustizia Piero Calamandrei e dall’associazione Il detenuto ignoto.
«Ancora oggi ci sono troppe sentenze orfane di verità e troppi innocenti finiscono in carcere, alla lista delle vittime degli errori giudiziari dobbiamo aggiungere quelle di ingiusta detenzione, chi viene sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere o ai domiciliari e poi assolto. Gente privata della libertà personale senza che abbia commesso alcun reato e prima di una sentenza anche non definitiva», sottolinea il deputato azzurro.
I dati di questa vera e propria strage figlia di una scellerate gestione del potere dei pm e dei giudici sulla libertà personale sono inquietanti: tra il 1991 e il 2022 i casi di ingiusta detenzione sono stati complessivamente 30.566, in media 955 persone all’anno. Il caso più eclatante, tornato alla ribalta nei giorni scorsi, è quello del pastore sardo Beniamino Zuncheddu, rimasto in carcere per più di trent’anni. Il costo? La spesa media annua per sanare questa ingiustizia è di 26 milioni e 460mila euro. Sempre in un anno i casi di errore giudiziario, secondo le cifre che snocciola l’azzurro Pittalis, sono stati 222, con una media di 7 persone all’anno ed una spesa complessiva in risarcimenti di 76.255.214 euro, pari a circa 2,5 milioni di euro in media all’anno.
Soldi che spettano di diritto a chi è rimasto privato del bene più prezioso ma che lo Stato fatica sempre di più a riconoscere. Per lo stesso Zuncheddu probabilmente ci vorranno anni, con molta probabilità l’Avvocatura di Stato si opporrà al risarcimento come fa sempre. Quasi sicuramente servirà «l’aiutino» della Corte di giustizia europea.
Perché nonostante ciò che prevede l’articolo 24 della Costituzione, ultimo comma, che recita «la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari», il risarcimento è condizionato alla mancanza di un presupposto «negativo», quando cioè il condannato non abbia dato causa «per dolo o colpa grave» all’errore giudiziario, per esempio con una falsa confessione, anche se estorta, o con un comportamento, anche omissivo, attraverso artifici e raggiri che potrebbe aver ingannato o alterato gli elementi in mano ai giudici. Che invece non pagano mai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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