Le prove si formano in aula e questo a Brescia non è successo. La difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi gioca la carta della Cassazione nell’ennesimo risiko giudiziario che punta a scardinare le sentenze sulla strage di Erba che hanno condannato all’ergastolo la coppia dei vicini di casa per la mattanza di ormai 18 anni fa. L’11 dicembre 2006 in via Diaz a Erba morirono Raffaella Castagna, suo figlio Youssef, sua mamma Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Di tutti gli elementi “astrattamente idonei a rovesciare il giudicato” basato sulle tre prove chiave (confessione, macchia di sangue sull’auto e riconoscimento oculare del sopravvissuto Mario Frigerio) nessuno è arrivato in aula a essere dibattuto, cioè a diventare o meno prova, eppure i giudici della Corte d’Appello di Brescia nella sentenza emessa il 10 luglio e depositata dopo più di 90 giorni li hanno valutati nel merito, come se se ne fosse discusso. C’è una corposa giurisprudenza che lo vieta, ci sarebbero 23 sentenze di Cassazione che in questi casi hanno rimandato le richieste di revisione a un’altra sezione della stessa Corte d’Appello o nella sede competente sul distretto (in questo caso Venezia) e questo chiedono Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello nella loro richiesta depositata in queste ore in Cassazione e che il Giornale ha velocemente consultato.
Secondo i legali la sentenza disattenderebbe l’articolo 24 e il 111 della Costituzione, l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e una sequela di sentenze di Cassazione anche recentissime che darebbero ragione alla difesa. Nella pluralità di vizi (motivazione, illogicità, contraddittorietà con quanto richiesto nella revisione) i più eclatanti secondo la difesa sono relativi agli aspetti più formali del rito di revisione, soprattutto per “la sovrapposizione indebita delle regole probatorie di due fasi distinte” del processo di revisione – l’ammissibilità e la discussione in dibattimento – ma soprattutto “l’erronea interpretazione di concetti giuridici, richiamati in modo inappropriato”.
Il processo penale, e tale certamente è il giudizio di revisione, impone l’uso del contraddittorio “per” la formazione della prova e non “sulla” prova. Il che significa che la sentenza non ha valutato prove, ma elementi che sarebbero potuti e dovuti diventare “prove” solo dopo l’instaurazione del contraddittorio, si legge nel ricorso. Invece a Brescia ci sarebbe stata una valutazione meramente cartolare degli “elementi” di prova, una fase solo apparentemente di ammissibilità, complice anche gli interventi della Procura generale, dell’Avvocatura Generale dello Stato e delle parti civili che si sono protratti per oltre cinque ore, incentrati sull’approfondimento e sulla verifica degli elementi indicati nell’istanza di revisione anziché una delibazione sommaria, con dati probatori travisati e riportati in modo distorto, in un modo non consentito dal rito. “Uno sconfinamento rispetto ai modelli che avrebbero dovuto governare la fase nella quale si versava”, dicono i legali, ricordando di averlo già sottolineato in aula più volte, come a prevederne l’esito di inammissibilità senza dibattimento, contrario alla giurisprudenza consolidata in questi casi.
D’altronde sul tavolo c’erano diversi elementi che avrebbero potuto scardinare le tre prove: l’ipotesi dell’errata repertazione della macchia, gli errori nelle confessioni, l’analisi di altre macchie di sangue che riscriverebbero la dinamica della mattanza, le nuove intercettazioni inedite sulla memoria di Frigerio e la sua probabile amnesia anterograda che ne escluderebbe la piena attendibilità, le perizie sulla casa della strage che dimostrerebbero la presenza dei killer molto prima della mattanza e ancora all’arrivo dei soccorritori, che renderebbe incompatibili i due vicini di casa come assassini, la pista della ‘ndrangheta e del regolamento di conti sulla droga mai veramente battuta nonostante elementi nuovi, testimonianze inedite, elementi di prova contenuti in altri processi ma mai acquisiti.
Per capire se la Cassazione darà ragione ai legali o se arriverà la parola fine sulla storia di cronaca nera più controversa del Dopoguerra, su cui si sono accesi i riflettori solo grazie ad alcune inchieste giornalistiche, su tutte quelle del Giornale sin dal 2007 riprese da Storie Italiane su Raiuno e delle Iene dal 2019, non ultimo lo speciale del TG1, bisognerà aspettare qualche mese.
Un nuovo processo di revisione con l’ammissione delle prove nuove raccolte dai legali potrebbe riscrivere non solo la strage di Erba ma la vera storia di un potenziale cortocircuito mediatico-giudiziario che potrebbe aver condannato all’ergastolo due innocenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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