Uno dopo l'altro gli orfani del progressismo a stelle e strisce vanno annunciando urbi et orbi che lasceranno X, ora diventato intollerabile per il semplice fatto che è di proprietà di Elon Musk, il multimiliardario che ha giocato un ruolo non secondario nella campagna elettorale di Donald Trump. Uno va dove vuole e se Piero Pelù ha deciso che non posterà più le sue riflessioni negli spazi di X, ce ne faremo una ragione. Idem per le dotte analisi della popstar Taylor Swift. La ragione di queste scelte del tutto legittime è che sulla piattaforma di Musk ormai non c'è più censura, e quindi circolano le idee più diverse. Attori e cantanti della gauche caviar fuggono quindi da X perché ha deciso di rifiutare quella «moderazione» dei contenuti che se ci si libera dal linguaggio orwelliano altro non è che censura. Insieme ai luogocomunisti dello spettacolo, però, hanno deciso di girare le spalle anche alcune delle maggiori imprese del capitalismo arcobaleno: dalla Disney alla Apple, da IBM alla Paramount. In questo caso hanno interrotto le loro campagne pubblicitarie su X, dicendosi preoccupate che il venir meno di ogni controllo dall'alto possa favorire la diffusione di discorsi d'odio (hate speech).
Lo scenario è chiaro. Una fetta importante delle élite occidentali ormai considera alcune libertà dei ferrivecchi da buttar via. Quando Musk disse chiaramente che non avrebbe mai chiuso la bocca a nessuno dei frequentatori di X (perché ognuno è responsabile di quello che fa e al limite paga le conseguenze legali dei propri errori), l'intellighenzia del nuovo totalitarismo soft lo dipinse come un «assolutista della libertà d'espressione» (free speech absolutist) e allo stesso modo possiamo definire chi è contrario alle rapine un «assolutista della proprietà privata». Si evoca l'assolutismo, che volle cancellare ogni diritto e affermare un potere senza limiti, per parlare dell'opposto: ossia, della volontà di riconoscere a ognuno la piena libertà di parola.
Nessuna tra le grandi imprese del capitalismo italiano o tra le star dello spettacolo prese le distanze da Twitter (perché allora si chiamava così) quando i funzionari della Cia e dell'Fbi entravano negli uffici dirigenziali del social. La squallida faccenda dei «Twitter files», in effetti, non ha scandalizzato nessuno.
Questo ci dice una cosa: e cioè che i difensori del vecchio potere al tempo stesso politico, economico e culturale temono che si possa assistere a una rinascita delle libertà. Per molti di loro sarebbe un'autentica catastrofe.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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