L’ultimo delirio woke: “I nomi dei dinosauri siano più inclusivi”

I nomi di alcuni esemplari estinti risulterebbero troppo maschili e appartenenti all’era del colonialismo

L’ultimo delirio woke: “I nomi dei dinosauri siano più inclusivi”
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Sono passati esattamente 200 anni da quando gli scienziati hanno dato il nome al primo dinosauro: parliamo del Megalosaurus, uno dei maggiori predatori del Giurassico medio. Dal 1824 in poi, gli esperti hanno scoperto e catalogato centinaia di altre specie di dinosauri e spesso i nomi sono stati scelti in base alle caratteristiche fisiche degli animali estinti oppure come “omaggio” agli studiosi che li descrissero. Ma oggi, nel 2024, bisogna fare i conti con la religione woke e nessuno può stupirsi di fronte alla richiesta di introdurre un sistema in grado di garantire “nomi più inclusivi e rappresentativi”.

Come ricordato da Nature, a differenza di altre discipline scientifiche – basti pensare alla chimica – gli zoologi hanno grande libertà nella denominazione delle nuove specie. Solitamente, lo scienziato o il gruppo di ricercatori che per primo pubblica un lavoro su un nuovo organismo può sceglierne il nome con pochissime restrizioni. Esistono delle linee guida per la denominazione delle specie supervisionate dalla ICZN (acronimo di International Commission on Zoological Nomenclature, ndr): tra queste, che il nome sia univoco, che sia ufficializzato in una pubblicazione e che, nel caso dei dinosauri, sia legato a un unico esemplare.

Per esplorare come sia cambiata la denominazione dei dinosauri negli ultimi 200 anni, Emma Dunne, paleobiologa dell’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga, in Germania, e i suoi colleghi hanno analizzato i nomi di tutti i fossili di dinosauri dell’era mesozoica (da 251,9 milioni a 66 milioni di anni fa) descritti, circa 1.500 in totale. L’obiettivo? Individuare i “nomi problematici”, ossia legati a“razzismo e sessismo” oppure nominati in “contesti coloniali o in onore di figure controversi”. Gli esperti hanno individuato 89 nomi potenzialmente offensivi, corrispondenti a meno del 3 per cento degli esemplari esaminati.

Per quanto concerne il “problema” colonialismo, secondo gli autori i nomi dei luoghi o dei ricercatori nella lingua indigena spesso non sono stati utilizzati nel modo corretto oppure sono stati tradotti male. Ad esempio, molti dei dinosauri scoperti durante una serie di spedizioni tra il 1908 e il 1920 da esploratori tedeschi a Tendaguru in Tanzania – all’epoca parte dell'Africa orientale tedesca - presero il nome dalla “componente” tedesca piuttosto che da membri della spedizione locale. “Il problema in termini di numeri è davvero insignificante. Ma è significativo in termini di importanza”, le parole di Evangelos Vlachos, paleontologo del Museo di Paleontologia Egidio Feruglio a Trelew, Chubut, Argentina, che ha anche partecipato allo studio. L’obiettivo è quello di realizzare sistemi di denominazione più rigorosi, ossia più inclusivi: “Non diciamo che bisogna cambiare tutto domani. Ma dobbiamo rivedere con spirito critico ciò che abbiamo fatto, vedere cosa abbiamo fatto bene e cosa non abbiamo fatto bene, e cercare di correggerlo in futuro”.

Ma non è tutto. Il ricorso agli eponimi è diventato molto più comune negli ultimi venti anni, ma nella stragrande maggioranza dei casi – l’87 per cento – parla al maschile.

Secondo i ricercatori, per evitare di“perpetuare gli stereotipi”, i nomi potrebbero essere dedicati alle caratteristiche fisiche dei dinosauri. Fortunatamente l’ICZN non sembra intenzionata a rinominare le specie ed a vietare gli eponimi: un barlume di buonsenso.

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