Li consideriamo poverissimi ma a casa loro sono borghesia

Uno studio francese evidenzia che la maggior parte delle persone «in fuga» appartiene a un ceto benestante e istruito

Li consideriamo poverissimi ma a casa loro sono borghesia
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Da una parte i numeri degli sbarchi esplosi nelle ultime settimane, dall'altra il tentativo del governo di farne una priorità dell'Ue, per arginare le partenze. Ma il rischio, notava ieri Luca Ricolfi sul Messaggero, è che «la domanda di ingresso in Europa sarà sempre più elevata della disponibilità di posti». Perché «il motore principale non è la spinta della povertà (del paese d'origine) ma l'attrazione per la ricchezza (del paese d'arrivo)». Bisogna escludere da questa analisi i migranti che hanno diritto allo status di rifugiato. Se si guardano ai dati del 2022, su 52mila domande esaminate, lo hanno ottenuto in 6mila, il 12 per cento. E anche coloro che hanno ottenuto la protezione sussidiaria o quella speciale, rispettivamente il 13 per cento e il 21 per cento. La maggior parte delle richieste, il 53%, cioè 27.385 persone, hanno ricevuto diniego a qualsiasi forma di protezione internazionale. Sono i cosiddetti «migranti economici - scrive Ricolfi - che nei loro paesi appartengono al ceto medio e partono perché aspirano a una vita più libera e meno disagiata». Disposti a pagare cifre esorbitanti per i loro Paesi di provenienza: «Il biglietto (3-4-5 mila euro) è mostruosamente esoso per chi vive in paesi il cui Pil procapite è 5, 10, 20 volte più basso del nostro». Ma così, secondo il professore, «le migrazioni tendono a depauperare l'Africa delle sue risorse umane migliori, un po' come succede all'Italia con il flusso di laureati e diplomati verso paesi più ricchi e meritocratici. Il rischio è che iniziative pur lodevoli, come il piano Mattei, stentino a decollare».

La maggior parte dei migranti proviene da due Stati che rientrano nella nostra lista dei Paesi sicuri: Costa D'Avorio e Tunisia. Su quest'ultimo il Memorandum con l'Ue stenta a essere attuato. Nel caso della Costa D'Avorio, è appena stato firmato un accordo per i rimpatri, che però va messo alla prova dei fatti. Secondo Fondazione Avsi, nel 2023 il Fmi prevede una crescita del Pil del 6,2%. Le ragioni di flussi così alti le spiega Christian Bouquet, professore di Geografia politica all'Università Bordeaux Montaigne: «È la speranza di una vita migliore che li spinge a migrare. È l'idea dell'Eldorado. Ma la vita che hanno in Costa d'Avorio non è economicamente insostenibile. Nel 2021 l'Oim ha stilato il profilo tipo del migrante. L'indagine, su 6.500 ivoriani rimpatriati, ha dimostrato che il migrante non è una persona indigente ma dispone di un reddito, non è analfabeta ma istruita, ed è relativamente giovane.

È qualcuno in cerca di una vita migliore, pur essendo ben integrato in Costa d'Avorio. Ma l'immagine della vita in Europa lo attrae al punto di prendere la strada per Agadez, Algeri, Tangeri o Tunisi per poi cercare di raggiungere le coste europee».

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