Sugli incendi la bufala del cambiamento climatico

Sul fatto che gli incendi starebbero "flagellando regioni così diverse del globo con una frequenza sconosciuta in passato" possiamo solo dire che è falso

Sugli incendi la bufala del cambiamento climatico
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Si stava per commentare seraficamente (qui) il cosiddetto incendio di Los Angeles e però niente da fare, scommessa persa: è spuntato un «esperto» de La Stampa che attenzione, ha sentenziato così: «I roghi californiani (sono) uno dei sintomi più evidenti che la crisi climatica che ci attanaglia non accenna certo a placarsi». L'esperto dice «crisi climatica» che è la stessa espressione che hanno adottato a The Guardian, i cui i giornalisti sono tenuti a scrivere «emergenza climatica», «crisi climatica» o «collasso climatico» mentre, al posto di «riscaldamento globale», dovrebbero scrivere «arroventamento globale». Il titolo della Stampa riporta «Il clima malato piega la California». Un po' poco. In compenso ecco altre due sentenze dell'esperto: «È facile prevedere che un'era del fuoco è vicina», «Il punto reale è perché gli incendi stanno periodicamente flagellando regioni così diverse del globo con una frequenza sconosciuta in passato». E qui forse ha ragione Gianrico Carofiglio, che, in un saggio per Einaudi, ha citato un'analisi statunitense su 28mila pronostici a opera di 284 «esperti» in dieci anni, e notava, l'analisi, che «le previsioni più scadenti venivano dai soggetti più famosi e più spesso presenti sui mezzi di informazione». Ora: l'esperto della Stampa si chiama Mario Tozzi, e sulla sua celebrità e mediaticità, nostro limite, non sapremo esprimerci: ma qualche verifica su quanto scrive si potrebbe azzardare. Ordunque. Sul fatto che gli incendi siano tra gli esempi ricorrenti in chi cerca un collegamento tra eventi meteorologici e riscaldamento globale, per cominciare, non ci sono dubbi. Sull'«era del fuoco», che sarebbe «vicina», possiamo solo dire che la distanza è tra 1,4 e 2,3 milioni di anni, ma guardando al passato: per il futuro non sappiamo.

Sul fatto che gli incendi starebbero «flagellando regioni così diverse del globo con una frequenza sconosciuta in passato» possiamo solo dire che è falso: dal 1870 a oggi gli incendi sono nettamente calati in tutto il Pianeta, come è stato scoperto grazie all'esame degli strati sedimentari di carbone sparsi su sei continenti e che coprono l'arco di due millenni. La ragione è banale: l'uomo ha smesso di ardere la legna e ha iniziato a bruciare i combustibili. Si chiama transizione pirica. L'esperto della Stampa cita dei fantomatici aumenti di incendi in varie zone del mondo, ma sono falsi: avrebbe ragione se parlassimo del solo Canada, che nel 2023 ha visto andare a fuoco il più alto numero di aree mai registrato prima; i media ne hanno dato ampio spazio. Non hanno invece dato spazio, perché così funziona, al fatto che negli Stati Uniti, sempre nel 2023, si è registrato il più basso numero di aree bruciate dall'inizio di questo secolo. Va da sé che a contare è la tendenza globale, certo: è per questo che la Nasa, per capirne di più, dal 2001 ha fatto orbitare dei satelliti attorno alla Terra identificando gli incendi di ogni dimensione. Risultato: dal 2001 al 2015 (lo studio è del 2017) i roghi su scala globale sono diminuiti in maniera significativa. Il 2022, l'ultimo anno con informazioni complete, è stato quello coi valori più bassi in assoluto: la superficie terrestre divorata dal fuoco si è ridotta dal 3,2 al 2,2 per cento. Ignari delle opinioni di Mario Tozzi, i satelliti Nasa hanno registrato che negli ultimi 18 anni c'è stato un calo del 25 per cento delle aree bruciate: sono diminuite di oltre 1.300.000 chilometri quadrati, passando da 4,9 milioni di chilometri quadrati (nella prima parte del secolo scorso) agli attuali 3,6 milioni. Nell'articolo dell'esperto, infine, si dice poi che gli Stati Uniti hanno le più alte emissioni di gas serra pro capite al mondo (a noi risulta che in Australia siano più alte, ma chi se ne frega) e non poteva mancare un finalone contro Trump, «un presidente che vorrebbe trivellare anche il Polo Nord». Informiamo che al Polo Nord sono già presenti 599 siti di estrazione di gas e petrolio.

Non è che l'esperto, forse, intendesse la Groenlandia? Nel caso c'è Kvanefjeld, il sito più ricco di terre rare di tutto il globo, elementi fondamentali per la transizione energetica globale perché trovano impiego, tra l'altro, nelle auto elettriche e nelle turbine eoliche. Bene: il partito di sinistra Inuit Ataqatigiit, nel 2021, ha deciso di chiudere il giacimento di Kvanefjeld.

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