Il serial killer Thomas Quick e i 40 omicidi mai avvenuti in Svezia

Thomas Quick ha confessato quasi quaranta omicidi, violenze sessuali, brutalità di ogni calibro. L’assassinio seriale più prolifico della Scandinavia? No, invenzioni frutto della follia

Il serial killer Thomas Quick e i 40 omicidi mai avvenuti in Svezia

Quasi quaranta omicidi confessati, mutilazioni, violenze sessuali e cannibalismo: il serial killer più prolifico della storia della Svezia, tanto da “meritare” il soprannome di Hannibal Lecter. Iniziate nel 1992, le confessioni di Thomas Quick dall’ospedale psichiatrico di Säter hanno sconvolto un intero Paese e hanno traumatizzato centinaia di famiglie. Un assassino seriale senza un modus operandi coerente, che affermò di aver ucciso indistintamente bambini e adulti, donne e uomini, svedesi e norvegesi. Tutto molto strano o forse no, considerando che il più feroce serial killer scandinavo, in realtà, non è mai stato un serial killer. Una verità incredibile, emersa solo dopo anni grazie alla pervicacia di un giornalista. In altri termini, una storia che non ha eguali nella storia della criminologia.

Thomas Quick, alias Sture Bergwall

Thomas Quick nasce come Sture Bergwall, nei pressi di Falun, il 26 aprile 1950. Cresce in una piccola realtà della Svezia rurale e deve fare i conti già da giovanissimo con malattie fisiche e psichiche di ogni sorta. Un bambino creativo, interessato al teatro e alla scrittura, che scopre di essere omosessuale nel pieno dell’adolescenza. Un orientamento sessuale tenuto nascosto per timore della reazione dei genitori, un infermiere e una bidella, profondamente religiosi.

Inizia a sperimentare droghe da giovanissimo – l’anfetamina la sua preferita – e all’età di 19 anni viene accusato di aver molestato quattro adolescenti. Il futuro Thomas Quick desidera essere trattato come una persona intelligente, interessante, ma incontra diverse difficoltà. Nel 1973, a ventitré anni, entra per la prima volta nella clinica di Säter. Dopo una messa in prova, la sua vita sembra procedere nella direzione giusta ma nel 1974 ci ricasca: consumato da alcol e droghe, aggredisce un omosessuale a coltellate.

Sture Bergwall inizia a entrare e uscire dalle cliniche, manifestando un desiderio di morte e la volontà di suicidarsi. Nel 1977 muore il padre e deve prendersi cura della madre malata, un periodo difficile ma non privo di fatti promettenti: apre un chiosco insieme al fratello e inizia a instaurare dei rapporti solidi. La serenità non dura molto: nel 1983 muore la madre, mentre tre anni più tardi il chiosco chiude i battenti. Bergwall prova a rimanere a galla: apre un nuovo chiosco e inizia a lavorare come steward e distributore di giornali. Ma la svolta – in negativo - è dietro l’angolo.

La nascita del serial killer mai esistito

Nel 1990, all’età di 40 anni, viene arrestato dopo una rapina in banca per la quale si era travestito da Babbo Natale. Viene sottoposto a perizia psichiatrica e torna nella clinica di Säter un anno dopo. È qui, in questo ospedale psichiatrico di massima sicurezza a tre ore di auto da Stoccolma, che Bergwall decide di cambiare nome e di dare vita all’assassino seriale più temuto della Scandinavia: Thomas Quick. La prima confessione arriva nel 1992 e si collega a uno dei più grandi misteri criminali della storia svedese, datato 1980: dichiara di aver rapito, stuprato, strangolato e smembrato l’undicenne Johan Asplund. “L’ho prelevato fuori dalla scuola, l’ho attirato in un bosco e l’ho violentato”, la sua versione. Dei suoi resti però nessuna traccia.

Condannato per la prima confessione, Thomas Quick inizia ad attribuirsi un omicidio irrisolto dopo l’altro, incarnando il fantasma che ha attraversato la Scandinavia uccidendo più di trenta persone. Afferma di aver ucciso una bambina di 9 anni in Norvegia nel 1988, di aver violentato e ucciso una ragazza 23enne e addirittura di aver assassinato un coetaneo nel 1964, quando aveva solo 14 anni. Nonostante le ricostruzioni ricche di errori, la parola di Quick diventa verità e le condanne si accumulano: viene processato e condannato per otto omicidi da sei tribunali diversi. "Ero una persona molto sola quando tutto è iniziato - racconta - Ero in un posto con criminali violenti e ho notato che più grave era il crimine, più qualcuno riceveva interesse dal personale psichiatrico. Volevo anche appartenere a quel gruppo, essere una persona interessante qui".

Confessioni con l'aiutino

Tra una ammissione e l’altra, Thomas Quick ringrazia i medici della clinica per avergli permesso di fare riemergere ricordi sopiti. Le violenze del padre, gli abusi della madre, i tentati omicidi. I media parlano di lui come del ”cannibale” che ha sparso sangue per la Scandinavia, citando le presunte prove dei suoi crimini ostentate dal procuratore Christer van der Kwast, senza dimenticare i rapporti delle molestie sessuali – vere – commesse ai danni dei quattro ragazzi nel 1969. Tutto facile per gli psichiatri: le reiterate violenze subite hanno trasformato Quick in uno spietato assassino.

Inoltre, nelle confessioni degli omicidi, Thomas Quick cita diverse informazioni corrette riguardanti la scena del crimine e i particolari delle vittime, dettagli spesso ignorati dagli stessi investigatori. È davvero lui il serial killer? Assolutamente no. L’uomo più temuto di Svezia riesce a ottenere informazioni chiave sui casi di cronaca nera da psichiatri, agenti di polizia e avvocati, mettendo insieme confessioni sconclusionate e confuse ma coerenti secondo le autorità. “Non avevo bisogno di fare molto per raccontare le storie. Di solito un articolo di giornale era sufficiente. Il resto delle informazioni arrivava sempre durante gli interrogatori della polizia, oppure dai terapisti. Dovevo solo ascoltare e prestare attenzione”, confermerà molto tempo dopo.

La fine del "mito"

Ogni volta che confessa, Thomas Quick riceve apprezzamento da parte di medici, giornalisti e polizia. È questo a dargli la forza di continuare la messinscena, la possibilità di instaurare rapporti sociali. Come evidenziato dall’esperto Ruben De Luca nel suo libro Serial killer, anche la scelta di cambiare nome rientra in questa ottica: creare una nuova identità rispettata e temuta. La considerazione degli altri come benzina per tirare avanti.

Gli anni Novanta scorrono così, ma qualcosa cambia nel 2001. Thomas Quick si chiude a riccio e rifiuta qualsivoglia tipo di visita. Tornato a essere Sture Bergwall, nel 2008 decide di ricevere Hannes Rastam, un giornalista che aveva chiesto più volte di poter parlare con lui. Il cronista studia oltre 50 mila pagine di documenti giudiziarie, cartelle cliniche e interrogatori della polizia, giungendo alla conclusione che non c’era un solo straccio di prova per nessuna della confessioni. Niente tracce di Dna, niente arma del delitto, niente testimoni oculari. Nulla di nulla.

Complice l’intervento del giornalista, Bergwall inizia a ritrattare le confessioni. Una mossa che mette in imbarazzo lo staff medico della clinica di Säter, tanto da dover fare i conti con una serie di ritorsioni. Rastam riesce a ricostruire quanto accaduto dal 1992 in avanti, accendendo i riflettori su una vicenda incredibile da ogni punto di vista: dai farmaci somministrati al presunto serial killer agli interrogatori condotti in maniera poco professionale, fino all’impreparazione degli avvocati. I tribunali vengono dunque costretti a revisionare le sentenze, con le condanne tutte annullate.

L’Hannibal Lecter della Svezia non è mai esistito: nessuno spietato assassino, solo

un uomo con problemi psichiatrici. Una storia da romanzo crime scandinavo, ma tragicamente vera. Thomas Quick nel 2014 esce da uomo libero dall’ospedale di Säter. Oggi vive libero in una località segreta.

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