In molti avrebbero voluto aggrapparsi al «murcielago», il pipistrello simbolo della città di Valencia, per volare via lontano dal fiume d'acqua e fango che ha travolto una città e che ha messo in ginocchio l'intera regione levantina. Il bilancio del nubifragio che si è abbattuto in poche ore ha provocato 95 morti, ma all'appello mancherebbero secondo le prime stime del ministero degli Interni almeno una cinquantina di persone. È stata una catastrofe, tuttavia annunciata, visto che l'autorità meteo nazionale (Aemet) aveva avvertito martedì mattina alle 7 di un rischio meteorologico estremo che avrebbe potuto provocare il ciclone Dana, con fenomeni non abituali di intensità eccezionale, e un pericolo molto alto per la popolazione. Parole ignorate dal presidente della Regione Carlos Mazón che solo 13 ore dopo, alle 20, ha comunicato agli abitanti cosa fare per mettersi in salvo. Ironia della sorte, quando l'intera zona era già travolta dall'inondazione, è arrivato sui cellulari l'invito della Protezione civile a non muoversi in tutta la provincia.
L'amministrazione regionale a dire il vero aveva invitato sui social alla prudenza, sostenendo che i temporali sarebbero calati d'intensità nel pomeriggio. Invece la pioggia è continuata a scendere in abbondanza, e alle 12 l'Università di Valencia mandava un messaggio agli studenti affinché restassero a casa. Negli stessi momenti arrivavano le prime segnalazioni di esondazioni, a Barxeta e Ribera Alta, dei fiumi Magro e Jucar, tant'è che la dirigenza del club di calcio del Valencia chiedeva alla federazione di rimandare la gara di Coppa di Spagna contro il Parla Escuela. Alle 16 è scattato il panico: i centralini del 112 e dei servizi di emergenza hanno cominciato a ricevere sempre più richieste di aiuto, da chi si trovava isolato per strada e chi nelle case. Monzon è sotto accusa anche per aver deciso di smantellare, appena 4 mesi dopo la sua elezione, l'Unità di emergenza di soccorso rapido in caso di catastrofe. Paradossalmente poteva accadere qualcosa di ben peggiore, vista la presenza del fiume Turia. Per fortuna non attraversa più Valencia dal 1957, quando l'allora dittatore Franco ordinò di deviarne il letto all'esterno del centro abitato in seguito a un alluvione che provocò 300 morti.
L'inferno è stato documentato dalle foto e dai video che hanno iniziato a circolare nella serata di martedì. Sono immagini che fanno tremare i polsi: auto che vengono spazzate via dalla furia delle acque e del vento, salvataggi estremi da parte dei vigili del fuoco, e purtroppo cadaveri portati via dalla corrente di acqua, fango e detriti. Valencia è in ginocchio, il governo spagnolo ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale, ma non c'è tempo per il cordoglio. Serve sostegno a una regione che al momento conta già migliaia di sfollati, che non dispone di acqua potabile, di corrente elettrica e di forniture di gas. Parecchie strade sono state sbriciolate, la linea ferroviaria che collega Madrid con il sud è fuori uso, così come è impraticabile l'aeroporto di Manises. La perturbazione ha colpito nelle ore successive anche Jerez de la Frontera, Cadice e Malaga in Andalucia.
I video mostrano diverse strade allagate, con auto rimaste bloccate, cassonetti trascinati via e pedoni in difficoltà. E in serata il premier Sánchez annuncia: «L'emergenza continua, non uscite di casa». A rischio Siviglia e Barcellona.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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