Cecilia a gennaio compirà 65 anni. Vive in un piccolo appartamento a Ponte di Nona, alla estrema periferia est della Capitale. È da sola, con lei solo Greta, una meticcia che non riesce a trattenere l’entusiasmo quando ci vede arrivare. Ci scodinzola con veemenza già dal pianerottolo, mentre la padrona di casa spalanca l’uscio. Un sorriso e ci invita ad entrare. Sul tavolo del soggiorno, impilata con cura, la documentazione che le abbiamo chiesto: certificato di invalidità e domanda di assegnazione di un alloggio popolare. In quelle righe c’è il racconto di una vita che non le ha risparmiato problemi e dolori. È la spiegazione di tanta amarezza. Cecilia avrebbe diritto ad una casa. È una dei tanti, troppi romani che attendono di vedersi assegnato un tetto.
La sua domanda è datata 2012. In dieci anni, "undici a gennaio", ci tiene a precisare, non ha mai ceduto alla facile tentazione di occupare. L’opportunità, per chi vive in contesti periferici e svantaggiati, si presenta pure se non la cerchi. Sono voci che circolano, conoscenze, amici di amici che fanno passaparola. A lei avevano prospettato un immobile in zona Quarticciolo, 60 metri quadri, case che sarebbero dovute andare ai dipendenti di una banca e che poi sono rimaste vuote. "Volevano 25mila euro per farmi entrare", racconta. Chi le ha proposto l’affare si è comportato come farebbe una qualsiasi agenzia immobiliare. "Sono persino andata a vedere l’appartamento, non nascondo di averci fatto un pensiero", confessa la donna. In quel periodo Cecilia abitava in un monolocale con tre figli, non poteva contare sul sostegno dell’ex marito né lavorare perché una ischemia l’ha resa invalida all’85%. Nonostante questo, alla fine, ha detto no. "Voglio vivere alla luce del sole, non come un sorcio, con le tapparelle abbassate per non farmi scoprire".
È anche questione di principio: "Credo nell’onestà, nei valori e nel rispetto della legge, ma sto perdendo le speranze", dice. Lo sguardo basso e l’indice che segna un cerchio attorno ad un numero: 5131. È la sua posizione nella graduatoria di assegnazione di un alloggio popolare. È un numero che la inchioda alla precarietà, una specie di tatuaggio. "Sempre lì, ferma, bloccata, nel 2021 ho scritto agli uffici del Campidoglio per chiedere un aggiornamento e non mi hanno neppure risposto". Cecilia si sente appesa ad un filo e la notte non riesce a chiudere occhio. Il Comune di Roma dal 2015 le eroga il bonus casa: 600 euro mensili pagati direttamente al locatore. È una misura che va avanti di proroga in proroga e serve a tamponare l’emergenza abitativa. "Scade a dicembre, se non lo dovessero rinnovare finisco in mezzo alla strada", spiega la donna che sopravvive con una pensione di 305 euro.
Per trovare qualcuno disposto ad accettare il buono ha dovuto girare in lungo e il largo. "Nessuno si fidava", ricorda. È così che è approdata in una delle periferie più remote della città, lontana dai figli, senza nessuno che possa darle assistenza. "Quando avrò diritto anche io ad una casa?", ripete sventolando i pezzi di carta. "Non chiedo un attico al centro, solo quello che mi spetta per diritto". Già, il diritto. Cecilia è convinta che il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, l’abbia accoltellato a morte. L’idea di concedere agli occupanti abusivi la residenza, gli allacci alle utenze e, soprattutto, la possibilità di accedere alle graduatorie per le case popolari, la trova assurda. "Sapere che chi fa il prepotente viene pure premiato mi sembra troppo, vuol dire che sono stata io stupida a non occupare? È così che il Comune di Roma ripaga la gente onesta?".
Il timore è quello di scivolare in fondo all’elenco di quelli che sono in attesa
adesso che anche gli abusivi possono accampare diritti. "È un boccone troppo amaro da digerire per chi come me ha stretto i denti per tutti questi anni, mi sento presa in giro: è una vera e propria beffa".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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