Leoncavallo, mancato sgombero: il Viminale condannato a risarcire 3 milioni

La famiglia Cabassi, proprietaria dello stabile, ha ottenuto dalla Corte d'appello di Milano il maxi-risarcimento per l'inerzia della Prefettura nell'attuare gli ordini di sgombero dello stabile occupato

Leoncavallo, mancato sgombero: il Viminale condannato a risarcire 3 milioni
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Il conto di decenni di tolleranza verso l'occupazione abusiva del più antico centro sociale di Milano adesso dovrà pagarlo lo Stato. Dopo anni di cause e di ricorsi, la famiglia Cabassi ha ottenuto dalla Corte d'appello di Milano un mega-risarcimento di tre milioni di euro per l'inerzia con cui la Prefettura ha sempre risposto alle sue richieste di poter tornare in possesso dello stabile di via Watteau, roccaforte degli antagonisti ma anche macchina per incassi di soldi in nero, grazie a una sorta di extraterritorialità per le attività commerciali (vendita di droghe leggere comprese) che vi venivano svolte. Per innumerevoli volte, la famiglia ha ottenuto ordini di sgombero che restavano lettera morta, visto che la Prefettura in nome del quieto vivere, e quasi sempre in pieno accordo con i sindaci di centrosinistra, evitava di dare indicazioni a polizia e carabinieri di mettere in pratica l'ordine. Risultato, la scena quasi surreale dell'ufficiale giudiziario che bussava alla porta dell'ex cartiera e se ne andava con le pive nel sacco.

In via Watteau gli autonomi sono arrivati nel 1994, dopo essere stati cacciati dalla sede storica di via Leoncavallo (che dà tutt'ora il nome al centro sociale). In quell'occasione, l'ordine di sgombero venne attuato, a costo di una lunga mattinata di scontri, sia per l'insistenza della proprietà che per la linea dura attuata da Questura e Prefettura, visto il ruolo tutt'altro che pacifico che il "Leonka" svolgeva in tutte le manifestazioni.

Da via Leoncavallo gli autonomi si sono spostati in via Watteau, nella zona (un po' più periferica) di Greco, col tacito assenso delle autorità. Nella vecchia fabbrica il business ha soppiantato in buona parte la militanza, anche perché sulla scena antagonista milanese comparivano nel frattempo gruppi ben più violenti, che accusavano il Leonka (il cui leader Daniele Farina era nel frattempo approdato in Parlamento nelle file di Rifondazione) di essersi svenduto allo Stato in cambio della garanzia di una sede. Una sorta di patto non scritto ha così garantito per decenni la prosecuzione indisturbata dell'occupazione di via Watteau, nonostante i reati che vi venivano commessi come il festival della cannabis. E nonostante il fatto che i proprietari dell'area, la famiglia Cabassi, uno dei più importanti gruppi immobiliari di Milano, si battesse per tornarne in possesso.

La prima sentenza che condannava le "mamme antifasciste del Leoncavallo", obbligandole a rilasciare l'area, risale a oltre vent'anni fa, nel 2003, confermata in appello e in Cassazione. Ma non è mai stata messa in pratica, per mancata disponibilità della forza pubblica. Ora la Corte d'appello riconosce che "è evidente che le esigenze abitative degli occupanti non possono mai giustificare la mancata adozione di misure efficaci a ripristinare il diritto".

Un vertice in Prefettura è stato convocato per decidere il da farsi. Perché dopo questa sentenza, ogni giorno in più di ritardo nello sgombero potrebbe autorizzare i Cabassi a chiedere altri soldi di risarcimento allo Stato.

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