Il calcetto, la piscina, la discoteca. Le frasi choc e i racconti di abusi nella chiesa altoatesina

La Diocesi di Bolzano-Bressanone ha pubblicato il corposo dossier relativo alle violenze commesse: 59 vittime per 41 sacerdoti coinvolti

Il calcetto, la piscina, la discoteca. Le frasi choc e i racconti di abusi nella chiesa altoatesina
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Sono 67 i casi accertati di molestie su minori avvenuti nelle Diocesi di Bolzano e Bressanone tra il 1963 e il 2023: 59 le vittime, 41 i sacerdoti coinvolti. Lo scandalo nella chiesa altoatesina è scoppiato dopo la pubblicazione integrale sul sito della Diocesi del corposo dossier relativo a quegli abusi sessuali, oltre 600 pagine di testimonianze che hanno fatto emergere decine di casi di stupro e di pedofilia.

Uno dei casi più sconvolgenti risale a metà degli anni Novanta, quando un giovane insegnante si tolse la vita. Un suicidio legato agli abusi subiti da bambino. A conoscenza delle tendenze omosessuali del sacerdote sospettato, il vicario chiese al religioso di non celebrare il funerale del ragazzo, ma quest’ultimo se ne infischiò. Come evidenziato dal Corriere, nonostante le proteste delle associazioni, il prete ha continuato a ricevere incarichi fino alla rimozione e al processo canonico nel 2010. “In questa situazione è mancata la cultura dell’errore” il parere dell’avvocato Ulrich Wastl, uno dei relatori. In altri termini, s’è pensato di risolvere il problema trasferendolo da un posto all’altro.

Ma sono tanti i casi che indignano la chiesa altoatesina. Dal sacerdote che “intratteneva rapporti amichevoli” sperperando denaro in bevande “imposte principalmente a giovani signorine” al parroco che negli Settanta molestò una donna in procinto di sposarsi: “In una locanda, ha pubblicamente infilato la mano sotto la camicetta, affermando 'qui c’è un mondo bellissimo'”. Il primo si sarebbe sottoposto a una “cura disintossicante”, con ricoveri in psichiatria e con la ricerca di “incarichi adatti”, mentre il secondo avrebbe insegnato fino agli anni Novanta e sarebbe stato impiegato come parroco fino al suo pensionamento. Un altro ancora, invece, "si intratteneva regolarmente a bordo della propria auto nei pressi della stazione, in cerca di giovani per scopi illegali". Dopo essere stato allontanato dalla parrocchia in cui aveva operato, è stato nominato assistente religioso presso il Centro pastorale di Bolzano e si è occupato della preparazione della Cresima.

Tra i casi di molestie nella chiesa altoatesina degli ultimi sessant’anni rientra anche quello di un sacerdote che girava per discoteche in compagnia di “fanciulli. Il religioso avrebbe anche fatto visita ad una ragazza di notte, in due occasioni, rimanendo con lei fino alle 4 del mattino. Nonostante le promesse di un intervento sul caso da parte del vicario generale, non risultano provvedimenti nei suoi confronti. Un altro prete avrebbe invece “attirato l’attenzione a causa di condotte moleste nei confronti di donne” e poi anche di minorenni: il sacerdote avrebbe “fatto spogliare un chierichetto, mentre gli altri giocavano a calcetto nella stanza accanto, e ne ha propriamente abusato. Gli altri sono scappati quando l’hanno visto”. E ancora “sul balcone ha disposto una piscinetta di plastica per far nuotare i bambini. Cosa intenda fare è altrettanto evidente”.

Tra i casi c’è anche quello di Adele – nome di finzione – che ha raccontato di aver subito abusi dai 9 ai 15 anni: “Ero una bambina e per tantissimo tempo non sono riuscita a esprimere a parole quello che era accaduto, non capivo cosa fosse successo. Non riuscivo a trovare il coraggio di parlare. Ricordo la confusione, dopodiché è subentrata la rimozione — un effetto che ho scoperto essere molto frequente — per cui per tantissimi anni non ricordavo assolutamente nulla”. La donna ha rivelato di aver avuto problemi di salute, disturbi alimentari, prima di un evento che ha fatto affiorare dei frammenti del terribile passato.

Grazie all’aiuto di una terapeuta, è riuscita a dare un nome a quello che le era successo. Interpellata dal Corriere, Adele ha sottolineato di aver rivisto il suo abusatore in città: “Tutte le volte la mia reazione era di paralisi: non riuscivo più a muovermi, a parlare, a capire. Era un tuffo indietro, un ritorno all’esperienza di abuso”.

Poi la decisione di denunciare, anche se il reato è caduto in prescrizione: “Non è colpa della vittima se non parla subito: non può, non ha gli strumenti. L’abuso si nutre del silenzio. Io l’ho fatto prima di tutto per me stessa, per darmi l’opportunità di dirmi che sono altro, oltre a quello che ho subito. E lì è incominciato il mio percorso di rinascita”.

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