Interessantissimo il nuovo sistema utilizzato dalla polizia di Amsterdam per trovare l’assassino di caso irrisolto da quindici anni. La vittima si chiamava Betty Szabò, prostituta, uccisa con settanta coltellate. (Rimarrà sempre un mistero per me il numero di coltellate che riescono a dare un omicida su una vittima, perché è ovvio che dopo le prime dieci, e lo dico per eccesso, le altre sessanta sono su un cadavere). Insomma, colpevole mai catturato. Al che arriva Anne Dreijer-Heemskek, membro del team dei casi irrisolti, che usa questo metodo innovativo, un ologramma della vittima per incoraggiare la memoria del pubblico
Sempre siano benvenute, le nuove tecnologie, ma da prendere con cautela. Sia perché la memoria di un individuo fa brutti scherzi, da scremare poi tra mitomani o persone che credono di aver visto quello che non hanno visto. I nostri stessi ricordi, non dimentichiamolo, sono ricostruzioni virtuali nel nostro cervello. Ma perfino il mezzo più affidabile in assoluto, il DNA, può giocare brutti scherzi, spesso se messo in mano a procure che ne abusano o lo contaminano. In Italia successo nel caso dell’omicidio di Meredith Kercher (DNA contaminato dagli stessi esperti della scientifica), ma anche nel caso di Yara Gamberasio, dove è finito all’ergastolo Massimo Bossetti con una prova del DNA molto dubbia. Non solo, è finita a processo anche la PM, per aver distrutto gli altri campioni di DNA che la difesa aveva chiesto di poter analizzare per avere una controprova.
Ben vengano le nuove tecnologie, ma diffidiamo dalle tesi precostituite, e anche dalla memoria di eventuali testimoni dopo quindici anni. A proposito, già che ci sono consiglio il bel documentario di Gianluca Neri su Netflix, “Yara”, in quanto fa capire che tra una presunta prova e una condanna bisogna essere sempre al di là di ogni ragionevole dubbio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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