"Omicidi polizieschi". Gli antagonisti difendono il maliano che voleva accoltellare gli agenti a Verona

I gruppi di antagonisti cercano di ribaltare le ricostruzioni sui fatti di Verona che, a loro dire, "stridono con le tante testimonianze di chi a vario titolo era entrato in contatto con il ragazzo"

Screenshot del Tg1 sull’aggressione di Verona
Screenshot del Tg1 sull’aggressione di Verona
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La dinamica su quanto accaduto a Verona dovrà essere accertata dagli investigatori ma su un punto sono tutti concordi: quella del poliziotto è stata legittima difesa. Moussa Diarra era armato di coltello e stava attaccando gli agenti della Polfer quando un poliziotto, dopo aver sparato i due colpi di avvertimento, senza successo, ne ha sparato un terzo, colpendo il maliano. L'agente è indagato come atto dovuto per eccesso colposo di legittima difesa e dagli antagonisti si parla di "omicidio poliziesco". La solita narrazione legata agli ambienti dei centri sociali e della sinistra estrema vuole che l'agente abbia deliberatamente sparato senza motivo a Diarra, che da aggressore è stato trasformato in vittima innocente.

Le indagini dovranno essere fatte, e sono già in corso, ma sorvolare sul fatto che Diarra fosse armato e stesse aggredendo degli agenti di polizia è una forzatura ideologica che vuole mistificare la realtà. "Le ricostruzioni che fin da subito hanno iniziato a circolare, anche a seguito di una nota congiunta della Procura e della Questura di Verona, stridono con le tante testimonianze di chi a vario titolo era entrato in contatto con il ragazzo", si legge in un testo che circola tra le parti antagoniste. Il sottinteso sembra essere che qualcuno stia mentendo e che a farlo siano Questura e Procura. "Un uomo pericoloso che si aggirava per alcune zone della città brandendo un coltello, quasi a giustificare che allora sì, si può anche uccidere una persona in evidente situazione di difficoltà, che sta male. Ma chi lo conosceva non può credere a questa versione dei fatti", si legge ancora.

Si mette in dubbio la lealtà e la trasparenza delle strutture di Sicurezza del Paese solo perché quanto accaduto non aderisce alla narrazione del buonismo. Quasi si giustifica l'uscita con il coltello di Diarra perché era in "evidente situazione di difficoltà". Se tutte le persone che fossero in difficoltà uscissero con un coltello ci sarebbe una strage quotidiana. E non stupisce che dall'associazione Paratod@s che lo seguiva cerchino di sollevare i dubbi sulla condotta dell'agente ma anche dei giornalisti che hanno raccontato quanto accaduto: "La costruzione della figura del 'mostro' affidata a cronisti di comodo, non rende giustizia a quanto noi sappiamo di Moussa". Nessuno ha raccontato il "mostro" ma si è riportato quanto accaduto, nella cronaca dei fatti dello scorso 20 ottobre.

E anche il fratello di Diarra, arrivato da Torino per il disbrigo burocratico accusa: "Mio fratello non beveva e non si drogava. Non era un delinquente. Non voglio che sia ricordato così. Stava male. Gli avevano fatto di tutto in Libia. Non è giusto". Mentre gli amici, durante il presidio che si è svolto per omaggiarlo lo definiscono "un bravo ragazzo, un ragazzo pulito". Il documento si chiude così: "Sono molti i lati oscuri di questa terribile vicenda e solo un’indagine indipendente potrà chiarire. Di chiaro c’è soltanto che Moussa non l’ha ucciso la morte ma un colpo di pistola sparato da un agente di polizia".

Con l'ennesima accusa alle autorità, con il tentativo di insinuare un dubbio su un agente chiamato a svolgere il suo dovere di tutore dell'ordine e della sicurezza. Sua e della comunità di cui è responsabile.

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