Era la sera del 4 dicembre 1993, un sabato. In via Rosso di San Secondo, a Catania, una donna poco più che quarantenne stava guardando la televisione, in attesa del ritorno del marito dal lavoro. Una calma apparente che, in breve tempo, venne sconvolta da 23 coltellate, che lasciarono un corpo senza vita a terra e un omicida a piede libero. La vittima era Antonella Falcidia e, a distanza di 29 anni, il suo resta ancora un caso irrisolto, senza un colpevole.
L'omicidio di Antonella
Antonella Falcidia, 43 anni, era una professoressa al dipartimento di Igiene dell’Università di Catania. Sposata con Vincenzo Morici, un cardiochirurgo. La donna apparteneva “a una famiglia dell’alta borghesia - ha spiegato a ilGiornale.it la criminologa Francesca Capozza - suo zio Enrico era un facoltoso medico catanese e proprietario della clinica dove lavorava suo marito”.
Quel sabato di dicembre, come venne ricostruito da Mistero in Blu, tutto si era svolto come sempre. La mattina la donna si era recata all’Università, mentre il marito era uscito prima di pranzo per andare a Nicosia, dove aveva un ambulatorio. Dopo aver cenato, Antonella si era seduta sul divano davanti alla televisione, in attesa del ritorno del marito. L’ultimo a sentire la sua voce era stato il figlio 17enne, che alle 21.45 le aveva citofonato prima di andare a una festa. Poi, nel buio di quella sera di dicembre, un’ombra era entrata nell’appartamento, aggredendo la donna con un’arma da punta e taglio. Una dopo l’altra, oltre venti coltellate avevano colpito Antonella.
Alle 23.30 il marito era rientrato dal lavoro. Aveva parcheggiato l’automobile, poi era salito dalle scale, gradino dopo gradino, fino all’appartamento in cui viveva con la moglie e il figlio e aveva aperto la porta. Nulla faceva presagire ciò che trovò al suo ritorno a casa: la moglie era riversa sul pavimento in una pozza di sangue, morta. Qualcuno la aveva uccisa. Ma chi?
“L’accanimento dei colpi inferti - ha spiegato a ilGiornale.it Capozza - grida a gran voce l'esistenza di un legame affettivo molto forte con la vittima, il desiderio di sbarazzarsi di essa attraverso un’azione carica di intenzionalità liberatoria, esito apicale di sentimenti ed emozioni contrastanti in cui frustrazione e rancore hanno la meglio”. Un comportamento, questo, che avrebbe potuto circoscrivere “la cerchia dei sospettati a un ambito molto intimo di conoscenze della vittima”. Il killer, in effetti, “non poteva che essere una persona molto conosciuta dalla donna che l'ha accolta in casa in vestaglia e si è intrattenuta con essa sul divano. L'appartamento non rivela alcun segno di effrazione e la porta di casa non era stata chiusa a doppia mandata, come sempre”.
I capelli, le impronte e una lettera anonima
A un primo sguardo sembrò che il killer avesse lasciato sulla scena del crimine numerosi indizi che avrebbero potuto condurre gli investigatori sulle sue tracce. Errori grossolani, che avrebbero potuto rivelarsi fondamentali per individuare l’omicida di Antonella. Sembrò infatti che, camminando intorno al corpo della donna, dopo il delitto, l’assassino avesse lasciato delle impronte insanguinate. Gli uomini dei reparti scientifici infatti individuarono una serie di orme di scarpa, ben impresse sul pavimento della stanza: un primo indizio potenzialmente utile a smascherare il killer. Le impronte corrispondevano a quelle di una scarpa numero 36.
Un altro elemento su cui fecero affidamento gli inquirenti furono alcuni capelli ritrovati dal medico legale incastrati nel pugno chiuso della vittima. A strapparli, pensarono al tempo, poteva essere stata la stessa Antonella, nel tentativo di difendersi dal suo aggressore. I capelli, di colore biondo, vennero quindi affidati al reparto scientifico dei carabinieri, il Cis, che effettuò una perizia, scoprendo che la ciocca apparteneva a una persona di sesso femminile.
Le impronte e i capelli fecero pensare che l’assassino potesse essere una donna ma, come spiegato anche dalla dottoressa Capozza, “dalla comparazione del Dna con 19 donne, tra cui quella con cui il marito aveva una relazione, non si trovò alcuna corrispondenza” e successivamente un’ulteriore perizia stabilì che i capelli appartenevano alla vittima stessa.
In ogni caso, a far pensare a una donna ci sarebbero le impronte della scarpa numero 36. Ma, in realtà, “si tratterebbe di un tentativo di depistaggio - ha sottolineato Francesca Capozza - in quanto sono presenti solo 3 impronte e solo di scapa sinistra impresse probabilmente poggiando un pugno all'interno, proprio per cercare di fare intendere che quelle fossero testimonianza inequivocabile di una presenza femminile”.
Al tempo, un’altra possibile pista sembrò provenire da una lettera anonima, recapitata alla vittima appena una settimana prima del delitto. Indirizzata ad Antonella, la lettera conteneva però degli avvertimenti riguardanti il figlio: “Attenta a tuo figlio - recitavano i ritagli di lettere di giornale incollate le une vicino alle altre -conosco tutti gli orari motorino scuola palestra. Il ritorno del sabato sera”. Inoltre quell'avvertimento era stato preceduto da una serie di telefonate mute. Ma anche questo indizio si rivelò privo di utilità per arrivare all’assassino.
Quella scritta col sangue
Per oltre 13 anni, l’omicidio di Antonella restò senza un colpevole e sembrava destinato ad arenarsi, dato che ogni pista battuta si era conclusa con un nulla di fatto. Fino al 2006, quando un pm lesse un libro di Carlo Lucarelli, e ne prese spunto per indagare nuovamente e lo indusse a chiedere la riapertura del caso.
La nuova inchiesta si avvalse di tecnologie moderne, in particolare di un potentissimo scanner, che permise di evidenziare un indizio apparentemente decisivo. Secondo queste nuove analisi, infatti, si scoprì che qualcuno aveva scritto sul divano del soggiorno su cui sedeva la donna alcune lettere, utilizzando il sangue della scena del crimine.
Sarebbe stata la vittima, rivelò all’epoca il procuratore aggiunto, parlando con La Repubblica, che “scrisse il nome di suo marito con il sangue alla base del divano”. Lo scanner infatti aveva svelato cosa si celava dietro una delle macchie di sangue presenti sul luogo del delitto: si trattava delle lettere E, N e Z, che scritte di seguito formavano "Enz", interpretato come l’inizio del nome Enzo, diminutivo di Vincenzo. “Abbiamo fatto delle verifiche su quella macchia di sangue - spiegò allora il procuratore - e secondo due perizie agli atti dell’inchiesta ci sarebbero le prime tre lettere scritte a stampatello del nome del marito della vittima”.
Gli inquirenti interpretarono questa nuova scoperta come un indizio lasciato dalla vittima, a indicazione del nome del suo omicida. Per questo il marito della donna, Vincenzo Morici, venne ritenuto il possibile killer di Antonella Falcidia e venne arrestato. Inoltre, spiega la dottoressa Capozza, “l’improvvisa morte del padre di Antonella, senza che venisse disposta un’autopsia, e il decesso per complicazioni post-operatorie dello zio, padrone della clinica e operato proprio dal Morici, gettarono luci inquietanti su un movente liberatorio del killer”, a cui avrebbe contribuito anche “la presenza di una solida relazione extraconiugale del marito”.
Già nel 2007 Vincenzo Morici venne scarcerato e i giudici di primo grado, nel 2011, lo assolsero “per non aver commesso il fatto”. A quel punto, la procura fece ricorso in appello, chiedendo una condanna a 30 anni di reclusione. Nel 2013 però la Corte di Assise di Appello confermò la sentenza di primo grado, che divenne definitiva data l'assenza di un ricorso, scagionando il marito. E, ancora una volta, il caso venne archiviato senza un colpevole.
Un caso che resta irrisolto
Ora, a distanza di quasi trent’anni, la morte di Antonella Falcidia resta ancora un caso irrisolto. Molti degli indizi raccolti si rivelarono probabili depistaggi. Le impronte di scarpa e le ciocche di capelli infatti sembrarono create ad arte per far ricadere i sospetti su una donna, mentre la lettera anonima recapitata alla vittima recava scritto a macchina un indirizzo, poi cancellato in malo modo, così da renderlo comunque visibile e permettere di identificarne la provenienza.
Secondo la dottoressa Capozza, il caso rimane ad oggi irrisolto anche per alcuni errori e ritardi compiuti nel corso delle indagini: “L’appartamento - ha spiegato - dopo il sopralluogo di carabinieri e medico legale, non venne sigillato e anzi, poche ore dopo l'omicidio, la scena del delitto venne pulita con uno straccio e il lavoro definitivo completato l'indomani dalla donna di servizio dei Morici. In sede di ispezione medico legale del corpo, non venne rilevata la temperatura interna né quella esterna, elementi cruciali per stabilire l'ora del delitto”.
Un possibile profilo dell’omicida, stilato dalla criminologa, è quello di una “persona affettivamente intima, dato l’accanimento 'passionale' del gesto, ricco di carica emotiva”. Non solo. “Analizzando tutti gli elementi a disposizione, il killer sembra essere un individuo calcolatore e meticoloso, attesa la premeditazione dei tentativi di depistaggio”.
Ipotesi, sopralluoghi, ricerche e indizi non sono riusciti a condurre gli inquirenti su una pista risolutiva.
Dopo i sospetti su un ex domestico di casa Falcidia, su una donna e sul marito, il caso è stato chiuso e la morte di Antonella resta, ancora oggi, un mistero irrisolto, uno dei tanti cold case che restano sospesi nel tempo, ma che, da un momento all’altro, potrebbero riemergere e riprendere a parlare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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