La più grave tragedia ferroviaria: 600 morti sui binari. La storia dimenticata

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto di Il disastro dimenticato. Treno 8017 Balvano 1944 di Gian Luca Barneschi, che uscirà il prossimo 15 marzo per i tipi di Cantagalli

La più grave tragedia ferroviaria: 600 morti sui binari. La storia dimenticata

Il 3 marzo 1944 a Balvano, in Lucania, ebbe luogo la più grave tragedia ferroviaria della storia. Più di 600 persone persero la vita, avvelenate dal monossido di carbonio prodotto dalle due locomotive a vapore che trainavano il Treno 8017: un treno merci che non avrebbe dovuto aver passeggeri a bordo.

Il disastro del Treno 8017 avvenne tra la stazione di Balvano e quella di Bella Muro, sulla linea Battipaglia–Metaponto, in uno dei più suggestivi e spettacolari tratti della rete ferroviaria italiana. Nei precedenti 64 anni di esercizio della linea, nulla aveva fatto presagire una catastrofe così tremenda come quella concretizzatasi il 3 marzo 1944.

Il bilancio della tragedia fu conseguenza soprattutto del ritardo dei soccorsi, che scattarono con cinque ore di ritardo. Alle incredibili modalità attraverso le quali questo Titanic ferroviario si concretizzò, nei successivi 80 anni si è sovrapposta un'ancora più incredibile rimozione mediatica e storiografica. Il riferimento antitetico alla tragedia del Titanic è - più di ogni altro - eloquente, e fa comprendere come la tragedia del Treno 8017 patisca ancora una conoscenza inadeguata, aggravata da una vulgata basata su elementi assolutamente infondati.

Le motivazioni di quella che non è stata neanche una rimozione, ma proprio una genetica disattenzione, sono molteplici e sorprendenti, contribuendo ad illustrare emblematicamente come meccanismi elementari riescano a distorcere anche eventi di macrostoria.

L’incredibile incidente del Treno 8017 non avvenne per cause belliche, ma per le conseguenze della guerra e poteva aver luogo solo nel 1944: ennesimo annus horribilis del periodo. E per quanto riguarda la zona a sud del fonte bellico italiano questa tragedia fu l’accadimento più emblematico ed eloquente del periodo. Nei primi mesi del 1944 il fronte bellico era ormai giunto nel Lazio meridionale (tra Cassino e Anzio), ma per quanto abbondino gli studi - anche di pregio - sugli eventi strettamente militari, la situazione quotidiana e sociale dell’Italia meridionale all’epoca non è mai stata adeguatamente approfondita storiograficamente.

A pochi mesi dalla resa incondizionata del Regno d’Italia agli Alleati, infatti, il disastro di Balvano fu figlio delle dinamiche del periodo, e dei rapporti postarmistiziali tra coloro i quali in Italia venivano chiamati Alleati (e che invece tra di loro e ufficialmente si definivano The United Nations…) e il cosiddetto Regno del Sud di Vittorio Emanuele III e Pietro Badoglio. Fondamentalmente la tragedia costituì estrema e concreta conseguenza della problematicissima situazione sociale del sud Italia del periodo.

Solo nel 1944, infatti, a seguito della sequenza di eventi storici degli anni precedenti, uomini, donne e bambini dalla Campania davano letteralmente l’assalto a qualunque cosa si muovesse sui binari in direzione Lucania e Puglia.

E lo facevano per un motivo molto semplice e fondamentale: per fame. Barattavano oggetti e beni di infimo valore con ogni tipo di cibo commestibile per cercare di sfamare le proprie famiglie.

Nell’Italia del sud non c’era più la guerra, ma permanevano le conseguenze del conflitto. E quale ulteriore premessa “strutturale” della tragedia di Balvano, alla carenza di cibo che affliggeva i ceti meno abbienti, specialmente nelle aree urbane, si aggiunse la totale soggezione anche del traffico ferroviario alle esigenze degli Alleati.

La linea Battipaglia-Potenza-Metaponto nel 1944 costituiva l’unico collegamento ferroviario utilizzabile tra Tirreno e Ionio e Adriatico all’epoca. Gli Alleati gestivano il traffico ferroviario, tramite il Military Railway Service, utilizzando il personale italiano, ovviamente privilegiando i trasporti militari. Così i treni passeggeri a disposizione per i civili italiani divennero rari e cominciò nelle zone campane l’assalto ai treni merci (per i quali si pagava comunque un biglietto). Dall’autunno del 1943 la questione era diventata di ordine pubblico e oggetto di continui rimpalli tra le autorità italiane e angloamericane.

Il Treno 8017, dopo un viaggio iniziatosi a Napoli circa 12 ore prima, era partito dalla stazione di Balvano cinquanta minuti dopo la mezzanotte di quel 3 marzo 1944, con ambedue le locomotive in testa, al traino di ben 45 carri: una composizione tutt’altro che regolare ed ottimale per l’omogeneità dello sforzo di trazione, ma, soprattutto, pessima per la concentrazione dei fumi di scarico nelle gallerie per coloro che erano a bordo.

Il treno giunse all’interno della Galleria delle Armi: la più lunga ma, soprattutto, quella con la ventilazione più scarsa del tratto Battipaglia – Potenza. Ma poco dopo l’ingresso nel tunnel rallentò, fermandosi.

Dopo un trentennio d’indagini ed analisi, sulla base delle testimonianze e delle documentazione dell’epoca si può affermare che l’arresto fu volontario, almeno per quanto riguarda la locomotiva in testa. Entrando nella Galleria delle Armi il piccolo lume a olio presente in cabina si era spento: era un tipico e terrorizzante “allarme rosso”, segno inconfondibile della carenza di ossigeno, dovuta anche al ristagnare all’interno degli scarichi del precedente treno. E allora il macchinista Espedito Senatore – ben conscio del fatto che il treno avesse a bordo centinaia di persone - comprese che sia il personale ferroviario, che i passeggeri non sarebbero mai riusciti a rimanere coscienti per tutta la durata dell’attraversamento della galleria, correndo anche il rischio di soccombere: così decise di arrestare il treno e retrocedere. Ciò fatalmente non fu intuito dal macchinista dell’altra locomotiva, che interpretò il rallentamento come un deficit di trazione della prima locomotiva.

Dopo una serie di movimenti altalenanti, dovuti al “duello” scoordinato tra le due locomotive, il treno si arrestò definitivamente allorché i frenatori interpretarono la retrocessione come un pericoloso slittamento a valle da bloccare.

Il Treno 8017 concluse il suo viaggio, fermandosi definitivamente all’interno della Galleria delle Armi, a circa 450 metri dall’ingresso sud e a circa un chilometro e mezzo dall’uscita, con solo due carri e mezzo fuori dal portale sud della galleria. Una delle peggiori posizioni dove bloccarsi, per un treno con quella composizione, in assenza di ventilazione e con la galleria già piena di gas venefici.

Purtroppo il treno rimase in tale posizione per più di cinque ore con le locomotive che continuarono ad eruttare fumi venefici. Monossido e biossido di carbonio e gli altri gas tossici prodotti dalla combustione compirono il loro letale effetto.

Il ritardo dei soccorsi prima, ma anche le sue maldestre modalità di esecuzione, resero quantitativamente tremendo il bilancio della tragedia, aggravandolo enormemente.

E così, nella fredda e umida mattinata del 3 marzo 1944, sui marciapiedi della stazione di Balvano furono accatastati i corpi di più di 600 persone di uomini e donne e di tutte le età.

La ragion - non di stato, ma di potenza occupante - conformò anche la divulgazione della tragedia del 3 marzo 1944.

Lo Psycological Walfare Branch (dipartimento per la guerra psicologica degli Alleati), il 20 dicembre 1943 aveva diramato una lunga circolare riservata con la quale, nonostante l’enunciazione di nobili proponimenti, la libertà di espressione mediatica, timidamente ricomparsa nell’Italia del Sud, veniva grandemente limitata e subordinata alle esigenze, belliche e non, degli Alleati. Come ammesso in un articolo pubblicato dal Times nel 1951, “il Governo alleato si sforzò di occultare l’incidente per evitare l’effetto deprimente sul morale degli italiani”.

E così, anche quanto al disastro del 3 marzo 1944 la censura operò efficacemente. Le prime informazioni sulla tragedia inizialmente emersero da organi informativi stranieri e l’unica testimonianza istituzionale (il verbale del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia in data 9 marzo 1944), consegnò alla storia una tremenda versione ufficiale, secondo la quale la responsabilità nella tragedia avevano perso la vita una “massa di viaggiatori”, costituita per lo più da “contrabbandieri, come devesi ritenere dal genere di colli e merci raccolte nei carri e depositati nella stazione di Balvano”, per di più “viaggiatori di frodo”.

Anche la parte giudiziale della vicenda patì i condizionamenti dell’epoca e così la tragedia di Balvano divenne per sempre una strage con molti colpevoli e nessun responsabile: infatti l’indagine penale non riuscì a identificare un colpevole, dando luogo ad un pronunciamento sorprendente. Il Procuratore del Re di Potenza, infatti, nonostante accurati approfondimenti istruttori, archiviò il fascicolo, individuando quale unico responsabile – difficile da perseguire - della morte di più di 600 persone il carbone di cattiva qualità fornito dagli Alleati.

Un po’ come incriminare la pioggia per le morti dovute ad un’alluvione…

Così la tragedia di Balvano divenne per sempre una strage con molti colpevoli e nessun responsabile. Ebbe così inizio la leggenda del carbone scadente quale causa dell’incidente. Ma non era vero: la relazione peritale - contenuta negli atti dell’inchiesta -, smentisce tale ipotesi e l’indagine svolta dagli Alleati (con la collaborazione anche dei tecnici ferroviari italiani), aveva individuato una serie di comportamenti quantomeno colposi da parte di chi aveva continuato a far circolare un treno lungo, pesante e trainato in maniera squilibrata, violando specifiche prescrizioni e regolamenti.

Soprattutto, si era continuato a far circolare il Treno 8017, considerandolo e gestendolo come un merci, anche se a bordo c’erano centinaia di persone.

Con il tempo fu anche distrutta ogni documentazione esistente: ma ciò che non era sparito in Italia è stato rinvenuto dall’autore in archivi riservati e a Londra, desecretando presso i National Archives i microfilm contenenti gli atti dell’indagine svolta dalle autorità angloamericane con il supporto dei delegati delle Ferrovie dello Stato.

Tale fondamentale documentazione è alla base di questo libro sul tragico viaggio del Treno 8017. Tra le carte dell’indagine sono compresi, il foglio composizione e la traccia oraria del treno, le perizie sulle locomotive ed il carbone: dai verbali degli interrogatori al personale ferroviario, emerge anche che i passeggeri del Treno 8017 avessero acquistato un biglietto.

Non erano, dunque, “viaggiatori di frodo”. Purtroppo questa menzogna, insieme a molte altre, sopravvive ancora, a 80 anni dal tragico evento e insulta la memoria di più di 600 persone.

Ma come è stato possibile che -finita la guerra- la tragedia del 3 marzo 1944 sia stata sostanzialmente ignorata, ovvero maldestramente narrata, attraverso tralatizio riciclo di vecchie versioni di comodo e leggende, evitandosi accuratamente analisi ed indagini accurate?

È stata determinante la volontà di rimuovere drammatiche responsabilità, che tutte le istituzioni (italiane e non) coinvolte, ebbero: così, semplicemente, si sperò che il disastro, già ampiamente e forzatamente ignorato, si confondesse con le molte altre tragedie del periodo bellico, cadendo in definitivo oblio.

L’incredibile oblio ottantennale sulla tragedia di Balvano è stato poi aggravato dalla messa in circolazione, da parte della stampa e della piccola pubblicistica locale, di ricostruzioni fantasiose e prive di pregio, che hanno avuto l’ulteriore demerito di accreditare e consolidare – a volte strumentalmente – ricostruzioni infondate.

Questi meccanismi sono stati perversi ed efficacissimi, così come il monossido di carbonio. Così, la più grave tragedia ferroviaria della storia è stata praticamente ignorata dalla storiografia, ma anche dal marketing delle commemorazioni e dai media.

E invece in molti avrebbero potuto e dovuto indagare e ricercare, per dovere scientifico e professionale, rispetto o

-come inizialmente avvenuto per l’autore- anche semplice curiosità. E dunque questa è una storia durata 80 anni, ma non ancora conclusasi…

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