"Ero in stage nell'agenzia pubblicitaria di Massimo Guastini, avevo vent'anni. Ho saputo che ci sarebbe stato un incontro formativo a Milano e ho fatto sapere sui social che avrei partecipato. Poco dopo è nato uno scambio via chat con quello che conoscevo di fama perché era un pubblicitario famoso, con una posizione di potere". Inizia così il racconto di Giulia S., che oggi ha 33 anni, tredici in più di allora. Lavora come copywriter, ha grande esperienza nel mondo della comunicazione e da qualche giorno - non senza "angoscia" - ha deciso di rivelare pubblicamente il suo volto e il suo nome. È lei la donna che subì, secondo il suo racconto, le molestie di un noto pubblicitario, recentemente sospeso dall'Art Directors Club Italiano (Adci), per "violazione dello statuto". Solo ieri abbiamo parlato qui del "vaso di Pandora" sul sessismo nel mondo delle agenzie, che si è aperto dopo un'intervista proprio a Guastini. Il noto pubblicitario, che era il capo di Giulia Segalla nel 2011, ha accusato Diaferia di essere un "molestatore seriale". E ha anche rivelato l'esistenza di una chat a cui partecipavano i dipendenti di una multinazionale famosissima nell'ambito pubblicitario, We are social, in cui comparivano messaggi umilianti e degradanti nei confronti delle colleghe.
Cosa successe quel giorno dopo l'incontro a Milano?
"Era il 2011, dopo la serata mi stavo preparando per prendere la metropolitana e poi il bus, mi ero organizzata per ritornare a casa in autonomia. È stato allora che il pubblicitario, che ha trent'anni in più di me, si è offerto di accompagnarmi a casa".
Ma non l'ha riaccompagnata a casa.
"Purtroppo non subito. Io davo per scontato che la differenza di età rendesse il nostro rapporto privo di fraintendimenti. Ero convinta all'epoca che le persone più adulte fossero innocue nei confronti di quelle più giovani. Oggi so che il problema non è di chi dà fiducia, ma di chi la tradisce, però ci sono arrivata dopo un percorso che è durato anni. Ho passato molto tempo a tentare di seppellire questa storia".
Torniamo a quella sera.
"Ha parcheggiato lungo una stradina isolata, non so dove eravamo, non vedevo niente, non c'era nulla se non un campo. In macchina ha iniziato a farmi delle lusinghe, mi ha fatto capire quali erano le sue intenzioni e io a mia volta ho detto chiaramente che non coincidevano con le mie. Ha usato anche il linguaggio non verbale, ha provato a baciarmi e mi ha dato qualche carezza non voluta, mentre io continuavo a respingerlo. Tutto questo è durato ore. Nel 2011 non c'erano neanche le tecnologie di adesso. Anche se non mi ha chiuso in macchina, ero in trappola. Ero in una strada al buio e isolata, che alternative avevo? C'erano solo due strade: andare fuori in un posto isolato o provare a gestire la situazione per non cedere alle pressioni che continuava a farmi. Penso di averlo preso per sfinimento e a un certo punto, con grande scontento da parte sua, mi ha effettivamente portata a casa".
Come si è sentita?
"Siamo stati insieme delle ore, in quel momento lì ero sotto choc e ho canalizzato tutte le energie che avevo per gestire una situazione che era di emergenza. Dopo di che ero sconvolta, non capivo che cosa stava succedendo, ne ho parlato con il mio capo di allora, Massimo Guastini. Ho resistito un anno a Milano, poi non ho retto e sono andata via. Ho iniziato a lavorare in partita Iva e ho continuato a fare il lavoro per cui avevo iniziato, faccio ancora la copy e la social media manager".
Che cosa ne pensa di quanto avvenuto in We are social, delle accuse di sessismo, della chat di soli uomini?
"I problemi che c'erano dodici anni fa continuano a tramandarsi, così come l'omertà e l'indifferenza. Già dodici anni fa la notizia delle molestie che ho subito, in anonimato, è stata resa pubblica. Ma ho ottenuto l'indifferenza. Adesso per fortuna c'è lo sdegno generale, che si traduce in azioni concrete".
Perché succede tutto questo?
"Credo che sia necessario mette in discussione l'automatismo per il quale una persona è prima di tutto un oggetto, considerato in primis per il suo aspetto fisico. Manca l'umanità e in molti pensano che si possano utilizzare gli altri a piacimento. Parte tutto da lì, dal dimenticarsi che si ha a che fare con persone reali, con una vita, con emozioni, sentimenti".
È una questione legata all'essere donne?
"Non è una battaglia di genere, è una questione di buon senso, educazione, cultura e rispetto dell'altro, chiunque sia, al di là del genere che non ha alcun rilievo".
Come si sente oggi?
"Provo emozioni contrastanti, spesso sono angosciata. Ma credo che sia giusto continuare, per dire alla me del 2011 che tutto quello che ha vissuto oggi ha un senso anche per gli altri. Vedere che adesso non c'è l'indifferenza con cui ho dovuto convivere in questi 12 anni, mi dà comunque la voglia di continuare ad andare avanti per un cambiamento che deve avvenire. Non voglio lasciare questo settore peggiore di come l'ho trovato. Io senz'altro non ne parlerò solo per una settimana, ma continuerò a raccontare ovunque la mia storia.
È responsabilità di chiunque si occupi di comunicazione e spero che chiunque possa portare questa esperienza nel proprio mondo per non essere più complice di questi comportamenti degradanti. Le vittime di molestie e di ingiustizia non possono difendersi da sole, c'è bisogno di un contesto che le aiuti".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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