Strage di Erba e strage della logica

Riflessioni dopo il no alla richiesta di revisione per la strage di Erba

Strage di Erba e strage della logica

Direttore Feltri,
dunque Olindo e Rosa resteranno in carcere fino alla fine dei loro giorni, essendo stata rigettata la richiesta di revisione del processo sulla strage di Erba. Che cosa ne pensa? So che lei da sempre sostiene l'innocenza dei coniugi. Si è adesso convinto della loro colpevolezza?
Beatrice Vitale

Cara Beatrice,
come potrebbe la sentenza della Corte d'Appello di Brescia che mercoledì scorso non ha ammesso la revisione del processo richiesta un anno fa dal sostituto procuratore della procura generale di Milano Cuno Tarfusser persuadermi che Olindo e Rosa siano colpevoli dei sanguinari fatti di cronaca che chiamiamo «strage di Erba»? È da anni, ossia dal dicembre del 2006, che approfondisco il caso e non esiste alcun tribunale che possa convincermi che questi due poveracci siano degli assassini in grado di compiere diversi omicidi nel giro di pochi minuti, con una perizia e una agilità che neppure i sicari specializzati possiedono, senza lasciare traccia del loro passaggio e senza essere visti da nessuno. Peraltro la decisione di mercoledì non esclude che la revisione venga fatta, c'è un altro grado di giudizio e gli avvocati della difesa hanno già specificato che faranno ricorso in Cassazione. Il magistrato Tarfusser si è detto a caldo «schifato da questo sistema». E lo dichiara da addetto ai lavori.

Ebbene sì, la giustizia può sbagliare. Essa è fatta dagli uomini, per definizione imperfetti e fallimentari. Personalmente non temo una giustizia che scivola nell'errore bensì quella giustizia che non è disposta a rimettere in discussione il suo giudizio, rigida, arrogante. Stupisce che i giudici abbiano ritenuto inconsistenti le nuove prove presentate dagli avvocati dei coniugi condannati all'ergastolo, dal momento che esse includevano testimonianze mai recepite, intercettazioni mai recepite, consulenze, indagini. Insomma, il materiale nuovo necessario affinché una richiesta di questo tipo possa essere accolta non mancava. I difensori erano andati sul sicuro, depositando una mole impressionante e solida di accertamenti inediti, la quale scagionava del tutto Rosa e Olindo. Io credo che ci sia una volontà precisa affinché si ponga una pietra tombale su quello che fu un procedimento in cui si dava già tutto per scontato, ovvero che i mostri fossero stati catturati.

Io confido ancora in una giustizia che, fosse anche davanti ad un misero dubbio sorto da altre prove, si rimette in discussione per scongiurare l'ipotesi che a pagare per i delitti altrui siano individui innocenti. Il compito della Giustizia non è quello di acciuffare un colpevole che possa appagare l'istanza e la fame di vendetta che sorgono nello stomaco della collettività ogni volta in cui vengono compiuti crimini efferati e terribili, ma di punire il colpevole. Tutto il resto è giustizialismo, ritorno alla ghigliottina, alla forca, alla pubblica piazza dove sedere per assistere, con godimento sguaiato, alla esecuzione del condannato.

Colgo l'occasione per ringraziare Pino Corrias che oggi, giovedì 11 luglio, all'indomani della sentenza della Corte di Appello di Brescia, mi ha citato nel suo modesto e maldestro commento apparso su Il Fatto Quotidiano, definendomi «l'ultimo degli innocentisti che ho incontrato in questa lunga e desolante marcia in tv durata una dozzina d'anni». Corrias ritiene che dal salotto di casa mia, in collegamento, io, senza avere studiato le carte, a suo parere, sostengo l'innocenza di Olindo e Rosa sulla base di considerazioni terra terra e facilone. Innanzitutto mi preme specificare che non sono innocentista, sono semplicemente una persona che è solita andare a fondo senza sposare la tesi dominante per partito preso, abdicando alle proprie facoltà mentali, e la quale peraltro inorridisce davanti all'eventualità che un innocente possa marcire dietro le sbarre, cosa abbastanza frequente anche in Italia grazie ai faciloni come Corrias e non come Feltri. È Corrias a non avere studiato, non Feltri che segue la vicenda dal dicembre del 2006, quando era direttore a Libero, quotidiano da me fondato. Corrias, infatti, insiste sulle confessioni di Olindo e Rosa, confessioni però gremite di contraddizioni (centinaia e centinaia) che stridono con i riscontri scientifici e con le ricostruzioni della scena dei delitti. Corrias sottolinea che il testimone, Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, riconobbe Olindo quale suo aggressore, urlando in tribunale: «Assassino». Beh, a me risulta che Frigerio descrisse accuratamente i suoi aggressori: alti, possenti, esperti di arti marziali, fronte corta, scuri di pelle. Insomma, la perfetta antitesi di Olindo e pure di Rosa, essendo il primo chiaro di carnagione, tutt'altro che atletico, e la seconda molto minuta. Frigerio non fece mai il nome di Olindo, gli fu però insinuato dagli investigatori attraverso i toni e una domanda vietata, ossia una domanda che conteneva già la risposta.

Posso continuare e passare in rassegna anche l'ultimo dei tre elementi, gracili e farraginosi, su cui si è basata la sentenza di condanna all'ergastolo di Rosa Bazzi e di Olindo Romano, e dunque parlare di quella presunta macchia di sangue che sarebbe stata trovata (e anche questo è dubbio) sul battitacco dell'automobile di Olindo, una macchia contaminata, che conteneva acqua e che chiunque, calpestando la corte dopo l'arrivo dei pompieri giunti a domare le fiamme, avrebbe potuto produrre. Testimoni che avrebbero visto i coniugi fuggire dall'edificio non ci sono. Manca l'arma del delitto, o le armi.

Assenti pure altre tracce, come se fosse possibile mettere a segno una macelleria simile e non essere sporchi di sangue dalla testa ai piedi e non spargere sangue al proprio passaggio per rientrare in casa propria, dove si presume che Olindo e Rosa si siamo lavati ma ancora senza lasciare traccia di alcun tipo.

Non sollecito Corrias a dare un'altra lettura ai fascicoli che pure afferma di aver sfogliato. Lo invito soltanto ad adoperare la logica. Tuttavia, mi rendo conto che per utilizzarla sia necessario esserne provvisti.

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