Era il 9 aprile del 2015 quando al palazzo di giustizia di Milano eludendo i controlli di sicurezza, Claudio Giardiello, imputato in un processo di bancarotta, entra in tribunale con una pistola che poi usa per sparare all'impazzata causando la morte di tre persone, l'avvocato Lorenzo Claris Appiani, Giorgio Erba e il giudice Fernando Ciampi, oltre al ferimento di molte altre.
Ora, dopo 9 anni e una battaglia che i familiari delle vittime non hanno mai smesso di portare avanti, il Tribunale civile di Brescia, ha condannato il ministero della Giustizia e la società di vigilanza Allsystem a pagare 1,2 milioni di euro come "Risarcimento dei danni per morte". "Una sentenza storica" commenta Aldo Claris Appiani, padre dell'avvocato Lorenzo, che abbiamo raggiunto telefonicamente.
Le parole del padre della vittima
"Sono soddisfatto - racconta - è stato un lungo percorso, non semplice e non scontato. Quello che si è concluso ieri era il processo civile, ma prima ancora tutti noi familiari delle vittime siamo "passati" per quello penale, che aveva individuato come responsabile Roberto Piazza un'addetto all'entrata del tribunale, ma non il Ministero. Quest'uomo, poveretto, era stato messo in mezzo un po' come capro espiatorio. Condannato in appello, la Cassazione lo aveva poi rinviato a giudizio, ma prima della conclusione del processo era morto per infarto. Non lo meritava proprio, lui non c'entrava niente perché era tutto il sistema che faceva 'schifo'".
Si può solo immaginare il calvario che voi familiari delle vittime avete passato...
"Personalmente ho assistito a tutte le udienze del processo penale ed è stata una cosa disgustosa. Sono venute fuori incapacità, negligenze e incuria di tutto il pensonale e anche apparecchiature che non funzionanavano. Andando a ben vedere però i responsabili della sicurezza del Tribunale di Milano sono la procura della Repubblica insieme al Presidente della Corte d'Appello. Erano loro che dovevano rispondere in prima persona, ma di fatto non sono stati proprio considerati e nei loro riguardi è stato archiviato tutto. Non hanno ricevuto neanche un avviso di garanzia e la giustizia si è concentrata solo sull'addetto alla sicurezza".
Per questo voi si siete poi rivolti al tribunale Civile?
"Esattamento. Abbiamo citato ovviamente la ditta appaltatrice della sicurezza, ma come fattore primario il Ministero, e dopo anni di battaglia ieri abbiamo ricevuto questa soddisfazione di vederlo condannato. Siamo privati cittadini che hanno lottato per avere una giustizia che non è solo formale, perché quella che c'è stata è una sentenza storica che comincia a far capire che lo Stato non se ne può fregare della sicurezza in modo così indecoroso. Immagini solo cosa sarebbe successo in un'azienda privata se qualcuno fosse entrato e avesse sparato a tre persone".
Quale è stata la vostra motivazione più profonda oltre la giustizia?
"Ci ha portato avanti la rabbia nel vedere che proprio lo Stato si è rifiutato di prendersi le sue responsabilità e dello 'schifo' che aveva fatto, tra l'altro estremamente costoso visto che il sistema di sicurezza del Tribunale costava 8 milioni di euro all'anno e neanche funzionava. Per citare quello che c'è scritto negli atti giudiziari, è stato considerato un 'teatrino di carta'".
Dopo quello che è successo, ha potuto notare che in fatto di sicurezza qualcosa è cabiato?
"Nulla. Quando il 9 aprile abbiamo fatto la commemorazione in tribunale, il presidente Fabio Roia è stato molto onesto, dicendo che nei nostri confronti la risposta giudiziaria è stata del tutto insoddisfacente. Adesso con questa nuova sentenza si inizia ad intravedere almeno un po' di luce".
Cosa non ha funzionato secondo lei, quale meccanismo si è inceppato?
"Bisogna fare cultura della sicurezza, non si può trattare un problema del genere come fosse una banale routine. Esiste un menefreghismo della classe amministrativa che fa veramente orrore qui in Italia. Il problema è serissimo. Gran parte dei tribunali in Italia non sono dotati di sicurezza. Quello di Milano era solo un'apparenza costosa. Guardiamo squanta sicurezza c'è alle Olimpiadi, per fare un esempio attuale, o quando si prende un aereo, e la stessa non esiste in un luogo deputato alla giustizia?".
Dopo la sentenza in suo favore ha sentito i familiari delle altre vittime?
"Non ho sentito di persona quelli del giudice, ma so che anche loro hanno ricevuto l'avviso. Gli altri non l'hanno ancora ricevuto, ma credo che sia imminente".
Ovviamente un risarcimento, anche se cospicuo, non potrà mai lenire il dolore della perdita di un figlio.
"E purtroppo neanche restituircelo. È chiaro che in un processo in sede civile si parla di soldi e il risarcimento, è lo scopo della causa, ma per me questo ha un valore simbolico. Se la condanna fosse stata di 1000 euro non sarebbe stata la stessa cosa. Doveva essere qualcosa di serio. I soldi per noi sono solo un mezzo per chiedere giustizia e per affermare un principio, visto che in sede penale non c'è stato".
Ora che è stato messo un punto, cosa farete?
"Continueremo a batterci. Io e mia moglie facciamo parte di un'associazione di vittime che si chiama UNAVI (Unione Nazionale Vittime) che cerca di aiutare e capire le problematiche dei sopravvissuti, delle vittime indirette, dei familiari.
Anche qui c'è una completa assenza dello Stato nella cura di queste persone e nel riconoscere i loro bisogni; sembra una categoria di reietti. Ci batteremo ancora, sempre e comunque affinché lo Stato protegga le persone più deboli. Questo è il nostro scopo principale".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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