Mater Bistrot, il locale del presente (e del futuro)

Un piccolo ristorante milanese in zona Cinque Giornate rappresenta, per proposte gastronomiche, scelta dei vini e atmosfera calda, una delle possibili risposte alle difficoltà della scena gastronomica cittadina. Ingredienti di qualità, stagionalità, niente sprechi, accostamenti arditi, condivisione, uso delle mani e prezzi corretti ne fanno un posto da provare assolutamente

Mater Bistrot, interno
Mater Bistrot, interno

C’è qualcosa di speciale al Mater Bistrot, un localino aperto qualche anno fa in una delle strade più vivaci della Milano gastronomica, via Pasquale Sottocorno in zona Cinque Giornate e che ho inserito subito tra le insegne più sottovalutate della città. Qui accadono piccole cose che tutte assieme contribuiscono a farne un posto accogliente e quasi abbracciante, un po’ l’emblema della strada che deve imboccare la scena gastronomica milanese, in crisi di adattamento stretta com’è tra il fine dining che deve ridefinire sé stesso e una raffica di inguardabili trattorie fintamente tradizionali.

Mater Bistrot, un ritratto di Alex Leone
Mater Bistrot, un ritratto di Alex Leone

Vi dico subito, quindi, che cosa mi è piaciuto di Mater Bistrot. Uno: l’atmosfera autenticamente calda, favorita dalle dimensioni parigine del locale, dove i pochi tavoli sono ravvicinati, ciò che magari a qualcuno può non piacere ma rende tutto assai caldo e coinvolgente. Due: il bancone che divide la sala dalla cucina a vista, che rompe la quarta parete e consente un continuo dialogo tra cliente e brigata. Tre: una proposta culinaria orientata alla condivisione e all’uso delle mani, ciò che accorcia i tempi tra la diffidenza e il benessere. Quattro: i prezzi realmente interessanti in una città come Milano dove il peso dello scontrino è un fattore.

Mater Bistrot, gli spaghettoni
Mater Bistrot, gli spaghettoni

In cucina c’è Alex Leone, un ex writer che per nostra fortuna si è dedicato a un certo punto alla cucina. La sua cucina non cerca il gesto eclatante o ruffiano ma si basa semplicemente su ingredienti di buona qualità rigorosamente stagionali, su ricette qualche volta confortevoli e altre volte più audaci, sull’utilizzo di ogni parte dell’ingrediente non solo in funzione anti-spreco ma anche con una precisa scelta espressiva, sull’esplorazione di sapori più estremi, sull’utilizzo di tecniche come la fermentazione ma senza eccessi talebani. Il risultato è un menu davvero piacevole.

Mater Bistrot, Alex Leone
Mater Bistrot, Alex Leone

La carta è articolata in due sezioni: piatti da condividere e piatti principali. Io mi sono intrattenuto soprattutto nella prima parte, assaggiando un paio di cose davvero notevoli. In particolate un Carciofo alla giudia perfettamente romano, anche se è fritto solo una volta e non due, e la seconda frittura è sostituita da una bollitura: il condimento è costituito da sale Maldon, buccia di limone e pepe di Cubebe. Poi l’Ostrica Fin de Serre condita dal grasso del pollo arrosto e dal cipollotto dallo sriracha. Difficile ascoltare qualcosa di nuovo sulla regina dei bivalvi, ma lo abbiamo appena fatto. Sono rimasto entusiasta anche della Ventresca di tonno e della proficua relazione con il melone invernale cartucciato di Paceco. Interessanti anche la Polpetta di cacciucco con salsa agropiccante, la Foglia di shiso con dentro una giardiniera di verdure e la Bombetta “fuori tutto” da mora romagnola lavorata come una crepinette, in cui il pecorino esce dall’interno per trasformarsi in caviale. Mi ha convinto decisamente anche la Torzella, un cavolo riccio napoletano servito con cavolo spigarello, marinato nel miso di fagioli, cotto alla brace e servito con chimichurri e aringa affumicata. Più “cupo” ma assai interessante il Fungo cardoncello piastrato e cotto alla brace su fondo fatto coi porcini e con sopra uno shiitake fermentato, servito con ribes fermentati e salsa al dragoncello. Alla fine della prima parte della cena una sola cosa non mi ha del tutto convinto: la consistenza del Gyoza di fegatini di anatra, la cui pasta molto spessa induce a una masticazione talvolta faticosa. Lo chef, a precisa domanda, confessa di aver cercato in questo modo di contrastare un ripieno assai saporito. Quindi non di errore possiamo parlare ma di precisa scelta stilistica.

Chiudo con una Cicoria pan di zucchero, molto simile a un cavolo cinese, cotta sottovuoto e poi sulla brace, con al centro una pasta fatta coi semi di zucca e una salsa fatta con aceto di Jerez e con un magnifico Spaghettone Verrigni che vuole riprodurre una perfetta pasta al pomodoro senza usare il pomodoro: la salsa è così realizzata con il lampone, miso di croste di parmigiano, polvere di foglie di fico e foglie di basilico fresco. Non ho assaggiato i dolci per sopravvenuta sazietà e forse è stato un peccato perché me ne parlano tutti bene. In carta un Mascarpone e yogurt greco con cialda ai semi e ananas alla brace aromatizzato al rum e un Cremoso al cioccolato bianco con pere, ibisco e crumble di frutta secca. Sarà per la prossima volta.

I piatti da condividere costano dai 9 ai 18 euro, quelli principali dai 23 ai 32, i dessert 10. C’è un menu degustazione a fiducia, cinque portate a 70 euro, sei a 80. Mater Bistrot dà un grande peso alla proposta enologica, al punto che a un primo sguardo potrebbe sembrare un wine bar con cucina (prima ovviamente di assaggiare la cucina decisamente centrata di Leone).

Vini naturali di cantine di fiducia, un numero non sterminato di etichette (qualche decina) che però ruotano spesso e che fanno anche arredamento, un vino che si chiama Cat a Rat e che un’azienda siciliana produce per loro (è un Catarratto che gioca su Tom e Jerry),

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