La donna strangolata in casa, la condanna, la grazia. Il delitto che divise l'Italia

La vicenda dell’omicidio di Maria Martitano, per cui fu condannato Raoul Ghiani: le ombre e la ricerca della verità per un legale

La donna strangolata in casa, la condanna, la grazia. Il delitto che divise l'Italia
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Un cold case, una condanna che divise l'Italia tra innocentisti e colpevolisti, una grazia e forse nessuna soluzione. È la vicenda dell’omicidio di Maria Martirano, accaduto l’11 settembre 1958 a Roma, in via dei Monaci: la donna, 49 anni, moglie dell’imprenditore Giovanni Fenaroli, viene trovata nella sua abitazione, dalla colf e da un vicino di casa, strangolata. Addosso aveva vestaglia e pantofole, ma trucco e capelli erano impeccabili, quasi la donna avesse un impegno successivo.

Il giallo è fitto: nei giorni precedenti, la signora Maria aveva fatto cambiare la serratura dopo aver udito rumori che le parvero d’effrazione. Il marito è lontano, poiché lavora a Milano, tuttavia le indagini si concentrano da subito su di lui: la coppia aveva stipulato da poco un’assicurazione sulla vita - con firma della donna, pare, falsificata - con un premio di 150milioni di lire che andava erogato anche in caso di morte violenta. Giovanni Fenaroli, all’epoca, avrebbe avuto tra l’altro dei presunti guai finanziari.

L’amministratore dell’azienda in cui lavora Fenaroli, Egidio Sacchi, racconta a un certo punto agli inquirenti che l’imprenditore avrebbe espresso per lungo tempo l’idea uccidere la moglie, ma anche di averlo sentito avvertire la 49enne che quella sera sarebbe andata a trovarla un suo uomo di fiducia, tale Raoul Ghiani.

Stando alla ricostruzione del processo, la sera del 10 settembre, Ghiani si sarebbe recato a Roma in aereo, usando lo pseudonimo di Wolfango Rossi, avrebbe ucciso la signora Maria e poi sarebbe rientrato a Milano con un treno notturno. Ma le cose stanno davvero così? C’è un legale, che ha raccolto l’eredità morale del padre e ancor prima del nonno, che tiene a riabilitare il nome di Ghiani.

Mio nonno, l’avvocato Nicola Madia, difese Raoul Ghiani - ha raccontato l’avvocato Nicola Madia in un filmato trasmesso da UnoMattina Estate, nel segmento crime condotto da Alessandro Politi - Secondo l’accusa, Ghiani aveva agito come sicario, e il mandante dell’omicidio era stato l’imprenditore Giovanni Fenaroli marito di Maria Martirano. Mio nonno ha difeso strenuamente Raoul Ghiani nel processo che si è celebrato davanti alla corte d’assise di Roma nel 1961, convinto fermamente della sua innocenza. In particolare mio nonno era convinto che Raoul Ghiani fosse stato vittima di un complotto, volto addirittura a simulare le tracce di una sua responsabilità, che invece non esisteva”.

Un segno di questo complotto sarebbe stato il ritrovamento, sul posto di lavoro dell’uomo che poi sarebbe stato condannato, dei gioielli della signora Maria: i monili non presentavano impronte e non erano stati rinvenuti però in occasione delle prime perquisizioni. “Mio nonno credeva proprio che il rinvenimento di questa prova fosse la dimostrazione del teorema accusatorio al centro del quale era finito Raoul Ghiani, volto a incastrarlo”, aggiunge Nicola Madia.

Nel 1961 Ghiani viene quindi condannato all’ergastolo, ma nel 1983 riceve la grazia dal presidente della Repubblica. La vicenda però non finisce qui: “A metà degli anni ’90 mio padre, l'avvocato Titta Madia, insieme con l’avvocato Francesco La Cava tentarono di chiedere la revisione del processo che si era concluso con la condanna a carico di Raoul Ghiani, ma anche questo tentativo non andò a buon fine. Tutta la famiglia Madia, anche nelle generazioni successive, io per primo, è rimasta convinta della completa innocenza di Ghiani”.

Tra i dettagli del caso che sollevano forti dubbi sul fatto che l’uomo condannato fosse davvero colpevole ci sono le tempistiche per il tragitto che secondo gli inquirenti Ghiani avrebbe effettuato: troppo poco tempo intercorre tra il volo aereo, il presunto omicidio e il rientro a Milano. In tutto questo, il vero Wolfango Rossi, un uomo che aveva paura di volare, muore in circostanze misteriose poco prima di essere ascoltato dagli inquirenti.

Dopo alcuni decenni inoltre, un ex dipendente del Sifar avrebbe affermato che il movente dell’omicidio sarebbe relativo a una documentazione in possesso dei Fenaroli, documentazione compromettente che avrebbe coinvolto alte cariche dello Stato.

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