Addio Gillo, grande giovane vecchio

Addio Gillo, grande giovane vecchio

Gillo Dorfles era vecchio da giovane, ed è diventato giovane da vecchio. Questo è il suo vero miracolo. Da vecchio, oltre il tempo, ci parlava di ciò di cui non aveva mai parlato quando indicava le tendenze dell'arte contemporanea o inventava, con felicissima intuizione, il kitsch come modalità dell'esperienza estetica, tanto dominante da avere invertito il senso del gusto. La nostra è l'epoca del cattivo gusto perché anche l'arte si è fatta democratica. E l'arte contemporanea non è selettiva, e non prevede né ingegno né talento né mestiere. Inevitabile che il kitsch la superi e indichi le rotte e gli strumenti di navigazione per il mare di merda che ci sommerge. Di questo nessun è stato miglior nocchiero di Dorfles. Ma quando, ai suoi tardi e luminosi anni, andavi a parlargli, ti riportava con la memoria agli anni della sua formazione, a Trieste, e ti parlava come coetanei di Silvio Benco, di Italo Svevo, di Carlo Sbisà, di Leonor Fini. Erano quelli gli stessi giorni di Dorfles innamorato di Leonor, troppo moderna e spregiudicata per i tempi, e invece Gillo, composto, sobrio, agitato dentro, nella città più freudiana d'Italia.

Spero che l'amico Luigi Sansone, che gli è stato vicino come un figlio, abbia trascritto i racconti di Gillo, che hanno reso «vita nuova» la sua vecchiaia, in un perpetuo ricordo della sua giovinezza che non gli ha mai veramente consentito di diventare vecchio. Ed era nato quando, fra balli e feste, Trieste era ancora capitale del regno austro-ungarico.

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