Anna Frank, le vignette di Vauro e l'indignazione a intermittenza

Le vignette di Vauro Senesi sul caso Anna Frank: una porta da calcio con la scritta "Arbeit Macht Frei"

Anna Frank, le vignette di Vauro e l'indignazione a intermittenza

Cosa distingue la satira da uno sfottò? Se esiste una linea di demarcazione, è molto sottile. Quasi inesistente, direi. O almeno funziona così in quella parte del mondo occidentale in cui commentatori ed opinionisti non si indignano ad intermittenza ma sostengono coerentemente le loro idee. Senza cambiarle come i calzini.

Purtroppo in Italia - come dice Filippo Facci - la "libertà di opinione dipende dall'opinione". Ci sono le idee belle e quelle brutte: le prime solo libere, le altre un po' meno. Due pesi e due misure. Volete un esempio? Provate a chiedervi: perché scandalizzarsi per lo sfottò (così è stato definito dagli stessi autori il fotomontaggio di Anna Frank con la maglia della Roma) dei tifosi laziali, mentre non si sollevano dubbi sulle vignette di Vauro Senesi o sulle copertine di Charlie Hebdo?

In questi giorni in ambienti laziali circola un'immagine eloquente in cui l'autore ipotizza la reazione di un (ipocrita) commentatore medio italiano di fronte a due fotografie. Da una parte osserva l'adesivo di Anna Frank romanista e vomita saette di condanna contro la tifoseria biancoceleste. Dall'altra si trova di fronte alla stessa immagine però ritoccata come se fosse una copertina di Charlie Hebdo. Ed ecco che il fotomontaggio da offensivo diventa allora un'idea geniale. Espressione artistica. Satira da difendere. Sempre e comunque.

Se ci pensate negli ultimi due anni il ritornello è stato sempre lo stesso. Quando sulla prima pagina del giornale parigino finì Maometto, provocando la reazione (orribile) dei musulmani, tutti si levarono ad estremi difensori della libertà di satira. Fiumi di parole sebbene fosse chiaro l'intento dissacrante. Ma quando in copertina sono arrivate le vittime del terremoto di Amatrice, tutti i "Je suis Charlie" e i gessetti colorati sono finiti in soffitta. Anzi: nel cestino. In molti hanno definito irrispettose le vignette dei francesi perché ad essere offesi erano i "nostri" morti e non un Maometto qualsiasi. Lesa maestà. E la libertà di opinione che fine ha fatto?

Arrabbiarsi per gli sfollati sbeffeggiati su carta stampata era giusto. Ma allora era altrettanto corretto farlo pure per Maometto. E se criticare i 13 ultras denunciati è sacrosanto, lo stesso deve valere per Vauro.

Il noto vignettista, infatti, nei giorni scorsi ha pubblicato un disegno che forse dovrebbe scandalizzare tanto quanto la foto di Anna Frank. Si vede una porta da calcio "della Lazio" sormontata dalla famosa scritta "Arbeit Macht Frei" dei campi di concentramento nazisti. Qui potrebbero sentirsi offesi in tanti. O almeno due categorie: i laziali (quelli che, come me, antisemiti non sono) e gli ebrei (la cui tragedia viene banalizzata). Tuttavia nessuno ha protestato: questa è satira, lo sfottò laziale invece no. In fondo non ci vuole molto per capire che quelli che ora si stracciano le vesti e rispolverano il diario della deportata, sono gli stessi campioni di insulti e gaffe anti-ebraiche.

Sia chiaro: nessuno sta giustificando quanto fatto dagli ultras biancocelesti. Anzi. Il punto però non è questo: qui si parla dei commentatori, non dei disegnatori.

Se si riconosce totale libertà espressiva, d'opinione e satirica, allora tutto è permesso. Non solo quello che ci piace (o che è fatto da chi ci sta simpatico). Sarebbe ora di dire basta all'indignazione ad intermittenza. Tendenza tipicamente italiana.

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