Assenza e supponenza

Ieri Elly Schlein ha scelto la strada dell'Aventino per ben tre volte nello stesso giorno.

Assenza e supponenza

Quando i deputati del Regno decisero la secessione sull'Aventino contro Benito Mussolini, il motivo della protesta fu l'assassinio di Giacomo Matteotti (la vicenda che la nouvelle vague del Pd ha ricordato nella sua prima segreteria), cioè un fatto gravissimo che ha marcato la storia del Paese. Ieri Elly Schlein ha scelto la strada dell'Aventino per ben tre volte nello stesso giorno: per protestare alla Camera e al Senato sulle magistrature speciali, cioè le votazioni che tra l'altro hanno permesso al grillino Alfonso Bonafede di assicurarsi una poltrona; e, ancora, per la presenza in Commissione giustizia di Andrea Delmastro, il sottosegretario di cui le opposizioni avevano chiesto le dimissioni.

Ora, si può dire ciò che si vuole, saranno state pure questioni importanti, ma se questo è il metro con cui la nuova leader vuole usare uno strumento estremo di protesta come l'Aventino, i deputati del Pd rischiano davvero in futuro di essere poco presenti nelle Aule del Parlamento. La verità è che certe manifestazioni di dissenso dovrebbero essere commisurate alla gravità degli argomenti per non rischiare di finire in un meccanismo in cui non c'è una gerarchia dei fatti ma solo una coazione a ripetere lo stesso rituale. Appunto, si rischia di trasformare la protesta in un rito di cui si perde il senso. L'eventualità peggiore per un'opposizione.

In fondo una delle massime più ricorrenti recita: gli assenti hanno sempre torto. Ecco perché l'assenza per protesta deve avere un motivo più che giustificato. Come un motivo serio debbono avere, sull'altro versante, quei parlamentari della maggioranza che l'altro giorno in una delle votazioni fondamentali in un anno politico, cioè quella sul Def, hanno disertato i lavori parlamentari. La verità è che - a parte qualcuno - non l'avevano. E ciò dimostra che manca la consapevolezza del ruolo che ricoprono. Un ruolo che la diminuzione del numero dei membri della Camera ha addirittura accresciuto, perché se si passa da 630 deputati a 400, il singolo parlamentare vale ancora di più e il tasso di assenza permesso ad una maggioranza si abbassa di molto. Se non si comprende un dato così oggettivo si pecca di imperizia o, peggio, di supponenza.

E il fatto che dietro l'incidente dell'altro giorno non ci sia nulla di politico, cioè nessuno dei partiti della coalizione aveva motivi per lanciare segnali di insofferenza, dovrebbe essere una ragione di preoccupazione, perché un governo, è già successo in passato, può cadere anche senza un perché. Motivo in più per correre ai ripari per tempo visto che, a differenza del Senato, la Camera non ha cambiato il suo regolamento interno adeguandolo alla riduzione dei parlamentari (i grillini che la scorsa legislatura avevano la presidenza fanno sempre le riforme con i piedi) e si potrebbero ripresentare simili frangenti.

Ecco perché l'idea di intervenire nella compagine di governo nominando solo sottosegretari «non eletti» non è malvagia.

In assenza di un cambio di mentalità e di comportamenti, gli estremi rimedi sarebbero più che giustificati. Una classe dirigente se non è all'altezza va educata: in fondo si può peccare per assenza (il Pd e la sua mania dell'Aventino) ma anche per supponenza (il masochismo del centrodestra).

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