A quarantotto ore dal rogo scoppiato al parco di Centocelle tutti vanno ripetendo la stessa verità: il disastro si sarebbe potuto e dovuto evitare. Lo sostengono i residenti, assaliti dalla nube tossica sprigionata dalle carcasse dei veicoli in fiamme, e lo sostiene anche chi di quelle carcasse ormai ridotte in polvere ne ha fatto il proprio business. Residenti e autodemolitori, quindi, puntano il dito nella stessa direzione, quella delle istituzioni, ognuno con le proprie ragioni. Intanto, sulla natura del rogo divampato sabato scorso indagano le forze dell’ordine.
"Non si esclude nessuna pista", è la formula di rito, ma quello che sembra chiaro a tutti è che difficilmente possa essersi trattato di autocombustione. È un ragionamento deduttivo e anche di buon senso, suffragato da dati: i casi di autoinnesco in Italia sono appena l’1%. Il rimanente 99 è una serie di circostanze che si può riassumere in due parole: negligenza o dolo. Di sicuro sappiamo che le fiamme sono partite dal parco, come testimonia il colore inizialmente grigio del rogo, diventato poi nero pece quando è arrivato a inghiottire la sfilza di autodemolitori che lo costeggia.
Qualcuno ha dato fuoco all’erba secca di proposito? Oppure quelle sterpaglie si sono incendiate per colpa di una fiammella trasportata dal vento, magari partita da una delle tante cucine clandestine del circondario? "Se le sterpaglie non avessero incontrato gli autodemolitori non ci sarebbero stato il disastro ambientale. Doloso o non doloso l’incendio era annunciato. Qui le responsabilità sono di chi non effettua la manutenzione del territorio", attacca Urio Cini, 67 anni, per lo più passati a Torre Spaccata, e portavoce del Forum per la riqualificazione del Parco di Centocelle. "Il problema – chiarisce subito dopo – non è con gli autodemolitori ma con le istituzioni". Tante sono le colpe che gli attribuisce chi vive quaggiù, in primis quella di non aver mai dato seguito alla realizzazione del parco archeologico nella sua completezza, lasciando più di cento ettari di prato e reperti di epoca romana in balia di rifiuti interrati, accampamenti abusivi e attività incompatibili e inquinanti, come gli sfasciacarrozze.
"Sono a tutti gli effetti impianti industriali che insistono in un’area urbana per di più sottoposta a vincoli archeologici, paesaggistici e naturalistici. È un’anomalia. Non a caso nel 2018 sono stati chiusi con atto amministrativo del Comune di Roma. Stando ad una sentenza del Tar se ne sarebbero dovuti andare entro il 2020", spiega Cini. "Perché sono ancora lì? Perché non sono stati delocalizzati?", si domanda l’attivista. Residenti e comitati di quartiere stavolta le riposte le pretendono. "Stiamo valutando un’azione legale. C’è stata inerzia da parte delle istituzioni e di questo dovranno rendere conto. Si sono sempre sottratte rimpallandosi le competenze ma ora siamo arrivati al redde rationem", conclude.
È lo stesso ragionamento che fa l’organizzazione di categoria. Lunedì i proprietari delle attività coinvolte nel rogo sono scesi in strada su viale Palmiro Togliatti per protestare. "Campidoglio e Regione Lazio sono responsabili. Il punto è che questi impianti non dovrebbero essere qui, dal 1997 esiste un accordo che obbliga le istituzioni locali a reperire aree idonee fuori dal perimetro del raccordo anulare per delocalizzare queste aziende, ma in tutti questi anni, nonostante numerosi ricorsi presentati, non è stato fatto nulla", denuncia Elena Donato, avvocato e presidente di Ader, l’associazione romana Demolitori e Rottamatori. "Per questo – annuncia - faremo una pesante azione legale nei confronti del sindaco Roberto Gualtieri, che è anche commissario ai Rifiuti, e della Regione per la mancata delocalizzazione e i danni subiti".
Perdite che, aggiunge l’avvocato, non possono essere ancora quantificate con certezza ma che potrebbero superare i 20 milioni di euro: "Sono una ventina gli impianti andati a fuoco, per costruirne uno ex novo servono da 700mila a un milione di euro, e alcuni di quelli distrutti nel 2017 erano stati anche rinnovati per volontà del Campidoglio con investimenti di 300 mila euro: fate voi i calcoli". La rappresentante degli autodemolitori scommette sull’origine "umana" dell’incendio: "All’interno della vegetazione è pieno di insediamenti abusivi di nomadi e sbandati, dove si accendono continuamente fuochi e bracieri". "Noi – ci tiene a precisare – non siamo responsabili del danno ambientale ma siamo vittime dell’abbandono in cui si trova tutto quel versante del parco: dal giugno del 2018 le attività sono chiuse per decisione della precedente amministrazione comunale, lì si vendevano soltanto pezzi di ricambio".
Venerdì gli autodemolitori di via Palmiro Togliatti sono stati convocati in Campidoglio. Obiettivo, riprendere il lavoro del tavolo interistituzionale istituito negli anni ‘90. "Quello che è successo sabato ci impone di ridefinire immediatamente le nostre agende di lavoro", ha detto l’assessora all’Ambiente e Rifiuti di Roma Capitale, Sabrina Alfonsi. "Oltre al danno ambientale, sulle cui cause le autorità preposte faranno i dovuti accertamenti, oggi abbiamo aziende e lavoratori senza la possibilità di lavorare, migliaia di tonnellate di rifiuti incendiati da rimuovere quanto prima e un'area interamente da riqualificare", ha commentato dopo aver incontrato i manifestanti, che restano sul piede di guerra.
Le denunce dei cittadini sullo stato del parco, che fino al 2010 ospitava due dei campi rom più estesi della Capitale, si rincorrono da anni. Le abbiamo raccolte in diversi servizi, toccando con mano il degrado in cui versa questo polmone verde che a tratti assomiglia ad una vera e propria giungla, all’interno della quale si nascondono decine di casupole abitate da invisibili. Poi ci sono gli accampamenti dei nomadi e le tonnellate di immondizia interrate dopo lo sgombero dei due maxi insediamenti e mai bonificate del tutto. Tanto che nel 2017 dal terreno hanno iniziato a sprigionarsi fumi tossici. La "terra dei fuochi" con vista sulle ville romane era servita.
In questi anni è stato fatto poco e nulla per liberare l’area.
A giugno l’assessore Alfonsi aveva annunciato una serie di interventi di riqualificazione, a partire dallo sgombero delle discariche abusive che si trovano proprio nella zona interessata dal rogo. Le fiamme, però, sono arrivate prima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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