Infiltrata nella Blue whale: così ho fatto condannare l'aguzzina dei bimbi

Avevo deciso di studiare questo folle "gioco" e sul mio cammino avevo incontrato una minorenne. Grazie alla denuncia la ragazzina si è salvata. Condannata la curatrice di Milano

Infiltrata nella Blue whale: così ho fatto condannare l'aguzzina dei bimbi

Era il 1 giugno 2017 quando sono andata a sporgere denuncia. Quando ho raccontato alla polizia postale di essere spettatrice di un gioco mortale. La Blue whale, in quel periodo, era sulla bocca di tutti. Dai più grandi ai più piccoli. Tutti ne parlavano, ma pochi sapevano cosa fosse concretamente. O meglio, pochi adulti erano davvero a conoscenza di quella folle "moda". Mentre i più piccoli ci erano finiti dentro, con il corpo e con la mente. Tagli su braccia e gambe, sfide, video dell'orrore, musiche malinconiche, curatori che controllavano ogni loro singolo spostamento e una pressione che alienava dalla realtà.

Visto il crescente fenomeno, ho provato a raccogliere più informazioni possibili: volevo capire cosa fosse questo mostro. Non mi è stato difficile entrare in quel girone infernale. Un profilo social finto, un paio di foto e frasi acchiappa curatore (le persone che hanno le 50 regole del gioco, adescano i minori e l'ultimo giorno li spingono fra le braccia della morte). Non mi spingerò oltre nel racconto, non lo feci 4 anni fa e non credo sia giusto farlo ora. Voglio evitare il fenomeno dell'emulazione, anche perché - in questo caso - i dettagli non aggiungono nulla alla notizia già di per sé drammatica.

Diventata anche io una balena (si chiamano così le persone che giocano appunto alla Blue whale) ho fatto le prime sfide. Ci tengo a precisare che non mi sono mai tagliata. Munita di smalto e trucchi vari disegnavo sul mio corpo quello che il curatore mi chiedeva. Ma dopo due giorni di prove - fra profili cancellati e segnalazioni - sono entrata in contatto con una minorenne. Giovanna (nome di fantasia) andava alle medie, aveva 12 anni e i suoi genitori erano all'oscuro di tutto. Con il passare dei giorni sono riuscita a conquistare la sua fiducia, mi ha raccontato dei suoi problemi, mi ha mostrato quei tagli indelebili e mi ha manifestato tutto il suo dolore. Giovanna, un giorno, decide di non "giocare" più con il mio stesso curatore "perché mi sembra finto" e si mette in contatto con una ragazza di Milano. E questa faceva sul serio.

"Ho paura - mi diceva -. Se non faccio quello che mi dice mi punisce. Sa dove abito, farà del male alla mia famiglia". Non ho aspettato un giorno di più. E il primo giugno ho denunciato tutto alla polizia. Ho consegnato il telefono, ho raccontato tutto perché dovevo salvare Giovanna. E ora posso dire che ce l'ho fatta. Dopo 4 anni è stato messo un punto a questa brutta storia: la curatrice di Milano è stata condannata a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione. A deciderlo è stato oggi il giudice monocratico della nona sezione penale Angela Martone.

Questo è il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nel quale una ragazza, oggi 25enne, è finita imputata con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati.

Ma non bisogna abbassare la guardia perché sui social c'è anche questo. E chi non ci finisce dentro non ne capisce le dinamiche, le paure e le regole del "gioco". E non può derubricare il tutto come una semplice moda dei giovani.

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