Rieccoci. Di colpo, il Pnrr, la riforma del patto di stabilità e la querelle sui salari troppo bassi finiscono nel sottoscala della politica. Il Palazzo è troppo impegnato a litigare e alzare la voce. I casi Del Mastro, Santanchè, La Russa. La giostra della giustizia ha ripreso a girare, anzi forse non aveva mai smesso. È la guerra dei trent'anni che ha coinvolto tutti i governi che si sono dati il cambio a Palazzo Chigi: quelli guidati da Silvio Berlusconi, anzitutto, ma attenzione, anche gli altri, di orientamento diverso o opposto. Da Prodi a Renzi.
Il tutto fra scandali, avvisi di garanzia, dimissioni spesso seguite, alla moviola, da tardivi proscioglimenti. E poi tentativi di riforme, puntualmente ghigliottinate dal tribunale della pubblica indignazione.
Così ogni volta si riparte da capo, ma è evidente che così non si va da nessuna parte. A questo punto la maggioranza deve darsi una mossa per attuare i programmi su cui ha raccolto il consenso. Non con intenti punitivi, come qualcuno ipotizza, ma per migliorare un sistema che fa acqua e per offrire a tutti le dovute garanzie.
Ci sono troppe leggi e tutto si attorciglia in un ghirigoro di difficile lettura. Eccoci al caso Delmastro. Viva la separazione delle carriere, verrebbe da dire, già in atto con il gip che sconfessa il pm.
Perfetto. Però qualcosa non quadra; la Cartabia aveva appena introdotto un principio di civiltà: il gip, o gup che dir si voglia, troppo spesso appiattito sui desiderata dei pm, può disporre il rinvio a giudizio solo se c'è una ragionevole previsione di condanna. Domanda: può esserci la sensata prospettiva di una pena in arrivo se nemmeno la Procura vuole andare a processo?
Inevitabile, negli anfratti e nei tornanti delle norme, immaginare interventi a gamba tesa e sottili manipolazioni che magari ci sono o magari no, ma alla fine vengono percepite come forzature. Perché un ministro, al di là dei tecnicismi su cui si è disquisito in questi giorni, deve apprendere dai giornali di essere indagato?
Si facciano tutte le indagini che si devono fare, ci mancherebbe, e nessuno vuole mettere la museruola alla giustizia, ma nemmeno può accadere che l'apertura di una inchiesta sacrosanta si trasformi in una gogna feroce, come sta accadendo in queste ore alla famiglia La Russa.
L'articolo 111 della Costituzione predica la riservatezza nella comunicazione fra apparato giudiziario e indagato e invece siamo all'ostentazione sguaiata di accuse che fanno titolo, almeno per un giorno, e fanno a pezzi la presunzione di innocenza che è solo una foglia di fico dell'ipocrisia nazionale. Basta, è ora di intervenire. Anzi, è già troppo tardi.
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