Caos prima della strage in Rsa "Così sono morti gli anziani"

Il racconto choc di un'operatrice sanitaria che ha contratto il virus in una delle rsa toscane più colpite dal Covid19

Caos prima della strage in Rsa "Così sono morti gli anziani"

“Ci davano mascherine che non avevano niente a che fare con la sicurezza. Erano fazzoletti praticamente…” Inizia con la denuncia di uno degli errori più commessi negli ultimi mesi dalle strutture sociosanitarie che si sono trovate a dover affrontare una delle battaglie più difficili degli ultimi mesi, quella contro il Coronavirus, la nostra chiacchierata con Sara (nome di fantasia ndr). Una delle tante operatrici sanitarie che ha assistito all’ecatombe di anziani in una delle rsa toscane più colpite dal Covid19. Si è ammalata e ha vissuto il dramma sulla sua pelle, dopo che i suoi occhi avevano assistito al caos causato dalla malagestione dell’emergenza all’interno della casa di cura in cui lavora.

A inizio marzo, quando già si iniziava a parlare di epidemia, dopo che i primi casi accertati iniziavano a comporre il puzzle di quello che si è rivelato un’incubo impensabile, la rsa Villa Gisella di Firenze, non dotava i propri dipendenti di mascherine chirurgiche e, nonostante gli operatori sanitari avessero contatti con l’esterno le precauzioni da utilizzare con gli anziani ospiti nella struttura erano ridotte all’osso. “Quando abbiamo iniziato a chiedere i dispositivi di protezione individuale la direzione quasi ci urlava dietro, come se fossimo dei matti e pretendessimo cose assurde”, ci spiega Sara.

I primi casi accertati di Covid19 in Italia, secondo le cronache, furono individuati a fine gennaio a Roma, ma dopo neanche un mese si parlava già di focolaio, in Lombardia, con 16 casi di coronavirus accertati. Il primo campanello d’allarme è stato lanciato per gli anziani. Sono loro i più a rischio, non tanto di contrarre il Covid, che colpisce tutti indistintamente, quanto di essere attaccati da forme più gravi. Le residenze per anziani in un battito di ciglia sarebbero dovute diventare un sorta di “gabbia sterilizzata” e invece, in troppi hanno sottovalutato il problema e la strage di un’intera generazione, a poco a poco, si è consumata in molte, troppe regioni d’Italia.

“Il via vai di parenti è continuato fino a tutta la prima settimana di marzo”, ammette con sofferenza Sara. Nella struttura fiorentina i parenti degli ospiti continuavano ad entrare, “stavano a debita distanza e si disinfettavano le mani”, racconta ancora la OSS. Troppe poche le precauzioni, troppa l’incoscienza nel continuare a consentire le visite, lasciando la possibilità che il virus potesse varcare la porta delle stanze degli anziani e colpire quelle persone che poi, avrebbero creato, loro malgrado, una catena di contagi inarrestabile.

“Il giorno della chiusura totale è entrata una nuova paziente nella struttura”, ci racconta ancora Sara, che così conferma ciò che, pochi giorni, fa aveva confessato a IlGiornale.it la figlia di un’ospite della stessa casa di cura, deceduta dopo aver contratto il virus. A seguito della chiusura totale di tutte le residenze per anziani della Toscana, nuovi anziani venivano accolti a Villa Gisella. Persone a cui nessuno aveva fatto alcun test per verificare se fossero positive al coronavirus. Persone che, sarebbero potute essere asintomatiche e che sono state accolte nello stesso reparto in cui si trovavano gli altri ospiti della rsa. “Abbiamo subito chiesto lo screening sia per i pazienti che per il personale - ci dice Sara - gli anziani si iniziavano ad ammalare uno dopo l’altro, crollavano come birilli”. Lo screening che non è mai stato fatto. I primi test sierologici sono stati effettuati il 9 di aprile. Test dopo i quali solo una delle operatrici sanitarie era risultata positiva al virus. Dopo questo primo caso gli OSS hanno iniziato a richiedere i tamponi, per accertarsi di non aver intercettato il virus dopo essere stati a contatto con la ragazza positiva, una loro collega.

“I pazienti che stavano male iniziavano ad essere sempre di più, ma prima di arrivare ad effettuare i primi tamponi a tutti gli operatori si è dovuto aspettare fino al 30 di aprile…io già da due settimane ero a casa, in quarantena, dopo essermi sentita male e aver effettuato il tampone prescritto dal medico di famiglia”. Il danno ormai era fatto e il virus correva tra le corsie inarrestabile. Eppure gli anziani non sono mai stati sottoposti a tampone almeno che l’ospite non manifestasse sintomi evidenti. Nei primi giorni di aprile la direzione decise di fare qualcosa. “Al piano terra è stata portata la macchina del vapore, quella che viene utilizzata per fare le pulizie e tutti gli operatori che cambiavano reparto, perché non eravamo divisi si passava da un reparto all’altro ogni giorno, doveva passarsi addosso il vapore”. Dentro quel macchinario però, non vi era nessun disinfettante e il vapore dopo essere stato spruzzato sugli indumenti infetti creava le goccioline, i famosi “droplets”, che accompagnavano il virus. “Sono convinta che abbia inciso, da lì a poco nel personale siamo arrivati ad una trentina di contagiati”, ammette Sara. Tra gli anziani oggi si contano circa 15 decessi, secondo quanto racconta la ragazza, mentre i contagi nella rsa sono arrivati a quota 60.

Nonostante i casi di Covid19 che si moltiplicavano giorno dopo giorno nessuno ha iniziato ad adottare nuove misure più restrittive. Tutto continuava ad andare avanti, per inerzia, accompagnato dalla disperazione di chi, ogni giorno, si trovava a trasportare malati in ambulanza e ad avvertire i parenti degli anziani che qualcosa era andato storto. “Portavamo fuori le persone infette con i semplici camici verdi…con mascherine che riutilizzavamo per tutto il giorno. Alcune volte ci dicevano di trasportare le persone decedute in cappella con i camici dei medici girati al contrario”, spiega con voce colma di rabbia Sara. Lei così si è ammalata, per fortuna in una forma lieve e in via di guarigione.

Eppure i tamponi alle persone che lavoravano con lei non

sono mai stati fatti. Senza sintomi equivaleva a dire senza virus. Era questa la filosofia adottata dall’azienda. “E’ mancata professionalità, ma sopratutto lato umano, questo è quello che mi sento di dire”, si sfoga Sara.

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