Caso Englaro, Regione Lombardia condannata: "Non rispettò la volontà di Eluana"

La Regione Lombardia è stata condannata dal Consiglio di Stato a risarcire Beppino Englaro: "Non rispettò la volontà di Eluana e impedì la sospensione della nutrizione e dell'idratazione artificiale"

Caso Englaro, Regione Lombardia condannata: "Non rispettò la volontà di Eluana"

La Regione Lombardia dovrà risarcire con 132mila euro Beppino Englaro, il padre di Eluana, morta nel 2009 quando la famiglia decise di interrompere la nutrizione artificiale dopo 17 anni in stato vegetativo.

Lo ha sancito il Consiglio di Stato che ha così confermato la sentenza emessa dal Tar lombardo nel 2016. La terza sezione di Palazzo Spada ha condiviso le conclusioni dei giudici amministrativi di primo grado che condannarono la Regione, all'epoca dei fatti guidata da Roberto Formigoni, per aver impedito la sospensione della nutrizione e dell'idratazione artificiale ad Eluana Englaro, che da 17 anni era in stato vegetativo.

Il Pirellone non si fece carico del ricovero della donna in una struttura sanitaria pubblica adeguata. Eluana Englaro morì il 9 febbraio 2009 in una struttura di Udine dopo aver vissuto 17 anni in stato vegetativo a causa di un incidente stradale.

L'amministrazione sanitaria regionale, "avrebbe dovuto, in ossequio ai principi di legalità, buon andamento, imparzialità e correttezza, indicare la struttura sanitaria dotata dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, tali da renderla "confacente" agli interventi e alle prestazioni strumentali all'esercizio della libertà costituzionale di rifiutare le cure" senza costringere il trasferimento in una struttura privata a Udine dove Eluana è morta il 9 febbraio 2009.

I giudici hanno rilevato che il diritto di rifiutare le cure, riconosciuto ad Eluana Englaro dalla Corte di Cassazione, e, in sede di rinvio, dalla Corte di appello di Milano, "è un diritto di libertà assoluto, efficace erga omnes. Pertanto, si tratta di una posizione giuridica che può essere fatta valere nei confronti di chiunque intrattenga il rapporto di cura con la persona, sia nell'ambito di strutture sanitarie pubbliche che di soggetti privati", si legge nella sentenza di 56 pagine che ripercorre la lunga vicenda, al centro di una battaglia non solo giudiziaria.

La Regione Lombardia, dopo 17 anni di cure a Eluana, "era tenuta a continuare a fornirle la propria prestazione sanitaria, anche se in modo diverso rispetto al passato, dando doverosa attuazione alla volontà espressa dalla stessa persona assistita, nell'esercizio del proprio diritto fondamentale all'autodeterminazione terapeutica".

I giudici di Palazzo Spada, a differenza del Tar Lombardia, non ritengono "dolosa" la condotta del Pirellone, il quale però "ha colposamente rifiutato di prestare la propria collaborazione all'esecuzione del provvedimento della Corte d'appello" che dava il via libera all'interruzione dei trattamenti sanitari, "manifestando un ingiustificato atteggiamento oppositivo, idoneo ad ostacolare l'attuazione della situazione coperta da giudicato" senza tenere conto che "il suo compito non potesse che essere quello di individuare la specifica struttura sanitaria".

Per queste ragioni il Consiglio di Stato ha respinto l'appello del Pirellone e lo ha condannato a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali causati alla famiglia Englaro, "pari alla somma complessiva di 132.965,78 euro, oltre accessori, di cui 12.965,78 a titolo di danno patrimoniale (oltre agli interessi legali dal momento dell'esborso e fino alla data di pubblicazione della sentenza) e di 120.000 a titolo di danno non patrimoniale con l'aggiunta di interessi e rivalutazione". La Regione dovrà pagare anche le spese del giudizio di appello.

Il risarcimento riconosciuto a Beppino Englaro riguarda anche le spese di piantonamento fisso della struttura dove Eluana venne ricoverata in Friuli, in cui morì, per far fronte alla "presenza di telecamere e giornalisti", ai "sit-in sotto la clinica" alla possibile presenza di "facinorosi", con il "conseguente rischio di lesione del diritto al rispetto della dignità umana".

I giudici mettono in primo piano Eluana Englaro, che ha "subito" in questa vicenda il "danno più grave", la "violazione del proprio diritto all'autodeterminazione in materia di cure" per cui "contro la sua volontà" ha subito "il

non voluto prolungamento della sua condizione, essendo stata calpestata la sua determinazione di rifiutare una condizione di vita ritenuta non dignitosa, in base alla libera valutazione da essa compiuta".

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