“Dai modi bruschi e scurrili, con uomini e donne, sempre pronto a usare le mani e abbassarsi i pantaloni mostrando il proprio membro, non si sa bene per quale fine propedeutico o educativo”. Così viene descritto Rodolfo Fiesoli, fondatore della comunità ‘Forteto’, nelle motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Firenze che il 15 luglio scorso lo aveva condannato a 15 anni e 10 mesi.
Il sistema Forteto viene descritto come un luogo “in cui schiacciante è stata la compressione delle coscienze e delle dignità delle vittime” e dove Fiesoli, detto il ‘profeta’ si approfittava delle sue vittime provenienti da “situazioni marginali di disadattamento ed abbandono, o trascuratezza genitoriale, in qualche caso alla miseria economica si aggiungeva quella morale”. È stata smontata la teoria del complotto, secondo la quale ci sarebbe stata contro Fiesoli una regia coordinata dalle vittime e compagni per ottenere dalla giustizia gratificazioni pecuniarie. Per i giudici la solidarietà tra i protagonisti di quelle storie non può tradursi in pianificazioni opportunistiche, né può apparire «infondato e inverosimile» se le vittime hanno deciso di denunciare pubblicamente insieme.
“Il racconto – scrivono i giudici sui testimoni – sia pure con sfumature diverse è emerso nitido e univoco, con tutte le notazioni dolorose di un vissuto per niente facile e con la mente assorbita da un martellante lavaggio del cervello”. Stefano Mugnai, componente della commissione d’inchiesta regionale, ha tuonato: “Sul Forteto non ci sono più né scappatoie etico-morali, né margini di trattativa sui fatti, né – men che mai – possibilità di accampare scuse ideologiche.
C’è da veder compiuto il passaggio di testimone tra Regione e Parlamento sulla commissione d’inchiesta, nonché da definire la questione del commissariamento della cooperativa”. E tuttavia il dossier sul Forteto redatto tra settembre 2015 e giugno 2016 giace nei cassetti di palazzo Madama.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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