
Giorno dopo giorno in questo strano divenire tutti i governi dei Paesi occidentali stanno scoprendo quanto sia difficile rapportasi con Donald Trump alla Casa Bianca. È complicato, quasi impossibile perché il presidente Usa persevera nella sua opera di delegittimazione di Zelensky e proprio ieri ha bloccato le risoluzioni di Onu e G7 contestando l'idea che sia stata la Russia ad aggredire l'Ucraina: cioè la base giuridica dell'aiuto dell'Occidente a Kiev. Per cui potrà sembrare paradossale, per non dire assurdo, ma ci sono più affinità tra le posizioni della Washington di Trump e la Mosca di Putin che non tra la capitale Usa e Parigi, Londra, Berlino e Madrid. Con il governo di Roma in imbarazzo, visto che la Meloni si è ritagliata il ruolo, in questa fase davvero temerario, di ponte tra gli Stati Uniti e l'Europa. Un disagio che emerge nelle diverse posizioni che affiorano all'interno della coalizione. C'è il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, che, in linea con le posizioni di Bruxelles e con quelle del Ppe, ribadisce in pubblico che «Zelensky è il presidente legittimo e l'interlocutore di ogni negoziato». E in privato è addirittura più netto: «Trump sta esagerando e Musk è anche peggio. La Meloni? È nel mezzo, si barcamena tra l'Europa e gli Usa». Sul versante opposto, Matteo Salvini, invece, ha una smodata passione per Trump: «Spero che vada fino in fondo. Chi lo attacca non serve la pace, perché ha fatto più lui in un mese che von der Leyen e Biden in tre anni».
E la Meloni? Naviga tra le due sponde dell'Atlantico. In pubblico evita di commentare il Trump pensiero (lunedì salterà pure la videocall del G7) e ieri, nel colloquio con il primo ministro canadese, si è rifugiata in un'ipotesi di scuola. Ha ribadito che la priorità per l'Italia è la stessa del resto d'Europa, della Nato e di Kiev: «Pace duratura in Europa, garanzie di sicurezza reali ed efficaci per l'Ucraina». In privato, invece, spera: «Trump - ha spiegato ai suoi - è fatto così. Parla, parla ma poi fa molto meno di quello che minaccia». Insomma, nei ragionamenti della premier Trump segue la sua natura di imprenditore: alza la voce, lancia ultimatum per poi trattare.
Sarà, ma questo non toglie che il nuovo Presidente abbia una visione del mondo alla rovescia rispetto alle logiche della politica Usa di un mese fa. Per usare una battuta di Nevi, portavoce di Fi, che ha fatto sorridere Tajani: «È come quel mattacchione del sindaco Bandecchi».
Solo che Bandecchi può mettere sottosopra il consiglio comunale di Terni, mentre Trump il globo. È la preoccupazione che si insinua tra gli uomini della premier. «Trump - sospira il ministro Musumeci - è ingestibile. Dare quei giudizi su Zelensky è come farlo fuori dal negoziato. Il vero problema è che l'Europa non esiste. Non ha mai avuto una politica estera e della difesa e oggi ne raccoglie i frutti. Non siedi al tavolo del negoziato se hai i muscoli di cartone! Noi comunque dobbiamo stare con l'Europa e Giorgia si sta adoperando per fare da ammortizzatore». Ragionamenti che tornano sulla bocca di Manlio Messina, altro personaggio di Fdi vicino alla Meloni: «Con quelle parole su Zelensky Trump ci ha spiazzato. Guardiamo agli Usa tanto più ora visto il rapporto che si è costruito Giorgia con Trump, ma a quanto sappiamo Putin chiede più di quello che già ha e noi non possiamo abbandonare Zelensky dopo averlo appoggiato. Siamo gente che rispetta i patti. Badoglio non è nel nostro dna».
L'immagine del governo e della coalizione vede, quindi, Tajani tirare la fune da una parte, Salvini dall'altra e la Meloni nel mezzo. La fune si spezzerà? No: una volta la politica estera era al primo punto dei programmi di governo, eppure il mondo era più semplice, non avevi tante opzioni, o ti schieravi con il Patto Atlantico o con il Patto di Varsavia; oggi che il mondo è più complesso e sta esplodendo, non viene neppure menzionata nelle trattative di governo. «Una crisi? - alla domanda Rotondi ti guarda come se tu fossi marziano - Ai tempi di Craxi e Spadolini i governi potevano cadere sulla politica estera. Altra classe dirigente. Oggi ne parlano, ma in realtà non gli importa niente».
L'unico rischio è che il governo con sensibilità diverse all'interno e la premier divisa tra la simpatia per Trump e il rapporto con l'Europa, resti fermo mentre il mondo è in pieno movimento. «La Meloni pensa - confida il forzista Alessandro Cattaneo - di avere un rapporto privilegiato con Trump, ma quello è un tipo che si sveglia al mattino e ti manda a quel paese. In più se Merz, il leader dei popolari tedeschi, diventerà cancelliere sarà più deciso con Trump.
A quel punto i grattacapi per la Meloni aumenteranno, perché il baricentro della politica europea si sposterà. Potremmo dire che andrà verso le posizioni di Marina (Berlusconi, ndr). Nascerebbe un paradigma politico che potrebbe andare avanti per 15 anni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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