È difficile non cadere nella retorica, raccontando questa storia. Anche se è stata proprio la volontà del suo protagonista (una volontà di ferro in ogni ambito della vita) di non cedere alla retorica, a renderla così straordinaria. Mirko Toller è morto, a sedici anni, a causa della malattia che non lo ha mai sconfitto, una di quelle così terribili che i medici la indicano con una sigla, «Sma», che significa «atrofia muscolare spinale»: colpisce un neonato ogni diecimila, è una patologia rara, per le quali la ricerca ha ancora più bisogno di fondi, e uccide i motoneuroni, le cellule che, dal midollo spinale, ordinano ai muscoli di muoversi. Infatti Mirko era in carrozzina, quella «nuova» con cui si muoveva in uno spot girato, qualche anno fa, con Checco Zalone: Mirko era il vicino appena arrivato, Checco il condomino insofferente verso qualsiasi bisogno che non sia il proprio. Insomma l'italiano medio Zalone, pieno di diritti (solo suoi) e privo di difetti (solo lui) si lamentava del posto auto che non poteva occupare, del tempo di attesa per il montacarichi di Mirko, del rumore... Ecco l'antiretorica, del comico e, prima ancora, dello stesso Mirko: per spiegare alla gente che cosa fosse quella malattia che gli impediva di vivere un'esistenza «comoda» come quella che a noi pare «normale», fino a che qualcuno ci fa riflettere sul fatto che non sia così; per invitare a donare alla ricerca; per non piangersi addosso, e ridere in faccia a chi, con perbenismo ipocrita, predica da manuale, ma nel concreto se ne frega. Ovviamente qualcuno aveva protestato, si era sentito offeso dall'ironia che toccava corde così delicate: certo, ci vuole coraggio anche per riconoscere quello altrui.
Ieri il suo amico Checco lo ha salutato così: «Ciao grande Mirko. Se puoi, da lassù, continua a mandarci il tuo sorriso, perché ne abbiamo ancora bisogno».
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