Chi è Jonathan Galindo, l’orrore che terrorizza i bambini e li spinge a suicidarsi

La morte per suicidio di un bambino di 11 anni, porta a galla un mondo oscuro fatto di personaggi horror come Jonathan Galindo che istiga all'autolesionismo e a prove che portano anche al suicidio quelli che per la società sono considerati ancora bambini. La psicologa dell'età evolutiva Maddalena Cialdella spiega perché hanno così presa sui giovani

Chi è Jonathan Galindo, l’orrore che terrorizza i bambini e li spinge a suicidarsi

Il suicidio del bambino di 11 anni di Napoli riapre ancora una volta una finestra sul mondo sconosciuto del web e su quello che succede ai nostri figli quando con vari strumenti tecnologici si ritrovano in un sistema che credono di saper gestire ma che in realtà spesso è veicolo di estrema pericolosità. Ovviamente strumenti come internet sono importanti soprattutto per una generazione tecnologica come è quella degli attuali ragazzini, i problemi nascono però da trappole che spesso irretiscono giovani menti sprovviste di strumenti per contrastarle. Ecco quindi che un bambino di 11 anni, cresciuto in una famiglia benestante, amato e seguito dai genitori, si ritrova in piena notte a scavalcare il balcone e a lanciarsi nel vuoto dal settimo piano per farla finita. Un vuoto quello in cui si è lanciato e quello che ha lasciato non solo nella vita dei genitori ma anche in una società incapace di comprendere certi gesti, soprattutto da parte di quelli che dovrebbero per l’età che hanno vivere un’età serena. “Mamma, papà vi amo ma devo seguire l' uomo col cappuccio che ho davanti...non ho più tempo…” è stato il messaggio lasciato da questo giovanissimo, che ha immediatamente fatto pensare ad una delle tante “prove” che girano in rete.

Ma chi è questo uomo con il cappuccio? E perché chiede ad un bambino di 11 anni di uccidersi? Queste vengono chiamate challenge, in italiano “sfide”, una sorta di prove crescenti che vengono richieste ad adolescenti e preadolescenti, fino ad arrivare all’ultima, terrificante, che è quella di togliersi la vita. È molto probabile, anche se gli inquirenti ancora non si sono pronunciati, che il suicidio del piccolo 11enne sia dovuto ad una di queste “prove”, e torna a rifiorire un losco, terrorizzante “figuro” di nome Jonathan Galindo. Ha le sembianze di Pippo con il volto deformato che provoca spavento. Si insinua sui social ed entra in contatto con ragazzini di età compresa dai 10 ai 14 anni. Il primo avvistamento non è recente ma risale addirittura al 2010 quando fu messo in rete dal suo creatore un produttore di effetti speciali cinematografici, tale Samuel Catnipnik che aveva realizzato questa particolare maschera. Lui ne è stato soltanto l’ideatore, ma questa identità horror, venne poi ripresa nel 2013 in alcuni video hard di un artista che si fa chiamare Dusky Sam. Si arriva poi ad un ulteriore avvistamento nel 2017, fino poi ad arrivare ad un anno fa quando in Spagna moltissimi genitori si sono rivolti alla Polizia denunciando la presenza di questo Jonathan Galindo che approcciava tramite richieste molti adolescenti. E’ quindi lui che una volta accalappiato l’interesse dell’ignaro ragazzino comincia a sfidarlo in prove che sfociano nell’autolesionismo.

Presente ovunque, su Facebook, Instagram ma anche su Tik Tok uno dei social più amati e utilizzati dagli adolescenti, Jonathan invia un “invito” tramite un link e propone di entrare in un gioco facendo leva sul senso di sfida molto presente negli adolescenti. Vengono poi proposte prove di coraggio sempre più estreme che sfociano nell’autolesionismo, come quelle di incidersi la pelle, cosa tristemente riproposta dal fenomeno della “Blue Whale”. Queste sfide portano poi nel tempo i ragazzini, soprattutto quelli più fragili e suggestionabili ad una forte fase depressiva fino ad arrivare al suicidio. Per capire meglio questo fenomeno e il perché abbia così presa su giovani menti, abbiamo chiesto spiegazioni alla Dottoressa Maddalena Cialdella Psicologa psicoterapeuta Responsabile associazione Aires centro clinico per il trattamento del disagio in età evolutiva. “Una delle caratteristiche più importanti di questi approcci è quella di richiedere, una volta avuto l’interesse dell’adolescente, di tenere questo segreto e non parlare con nessuno delle prove.

Il punto è ovviamente chi c’è dietro questa identità che è un tipo di personalità manipolatrice che con molta probabilità ha una grandissima difficoltà a stabilire relazioni sociali reali, tanto da essere spinto a trovare ragazzini per esercitare il proprio potere nel vedere questi fare esattamente quello che lui comanda. Il punto però è come mai questa cosa fa presa sui ragazzini di questa età. In questo momento storico strumenti come tablet, smartphone, computer e social sono diventati ancora più accessibili, perché sono lo strumento che tutti i giorni i ragazzini usano oltre a fine ludico anche a quello scolastico e didattico. Quindi ancora più pericoloso perché l’uso è quotidiano. La questione più importante è che questa è l’età, e non a caso si cercano questi ragazzini, dell’incertezza, un periodo della vita molto particolare, dove si ha poca consapevolezza di quelle che sono le conseguenze del loro comportamento.

Inoltre sono ragazzi che a questa età hanno bisogno di capire quali sono i propri limiti e se sono capaci di travalicarli, ecco perché accettano le sfide. C’è anche un altro elemento che è quello della curiosità e dello sperimentare cosa si è in grado di fare. E’ poi c’è l’ultima questione forse la più importante sul perché questi personaggi hanno presa su questi preadolescenti ovvero il rinforzo positivo che hanno quando fanno queste prove. Questi personaggi lodano e rinforzano l’autostima delle loro vittime che in questo modo si sentono adeguati, capaci e forti e questo li induce a voler fare sempre di più così come viene richiesto loro richiesto.

Tutto questo dà loro la sensazione di accrescere la propria autostima perché dall’altra parte dello schermo c’è qualcuno che la rinforza, che dice loro quanto sono bravi e capaci, all’interno di un contesto di questa società in cui molto spesso i “rinforzi positivi”, e le gratificazioni e la capacità di nutrire l’autostima dei ragazzi è poco presente. Ed è proprio questo il processo per cui si rimane all’interno di questa relazione malata perché quanto le prove si fanno più dure, tanto più viene rinforzata la loro forza e autostima”.

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